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Lo spettacolo del disequilibrio, del confine, dell’esserci e del  non esserci, del buio che non è tale perché è chiaroscuro e della luce che viene inghiottita dal buio. Sette sorelle raccontano la loro vita in occasione del funerale di una di loro, che non è funerale, perché è racconto di vita e di dolore, perché è morte raccontata

attraverso la vita ma pur sempre morte è. Nulla è definito in maniera specifica. Anche la morte sembra non essere identificata perfettamente se non per alcuni elementi. La base narrativa di questo lavoro di Emma Dante, in effetti, è un racconto semplice di una famiglia semplice. È il modo in cui questo racconto viene costruito scenicamente e verbalmente che diventa articolato e ricco di immagini. Ogni secondo in cui le sette attrici, più una e più due uomini, rimangono in scena, la visione si apre attraverso molteplici fogli di immagini che sembrano costituire piccoli tasselli di un multiforme mosaico. Emma Dante, attesa regista e interprete, porta a Napoli, sul palcoscenico del teatro Mercadante, LE SORELLE MACALUSO, in scena dal 22 al 26 gennaio. Il richiamo della Dante riempie il teatro che registra il sold out per tutte le repliche. La presenza della regista palermitana a Napoli rientra nel progetto quinquennale CITTÀ IN SCENA/CITIES ON STAGE, che vede la città partenopea aderire nel 2011. Il connubio lavorativo e artistico si avvale della collaborazione di alcuni dei più importanti teatri europei, il Teatro Nazionale di Bruxelles, il Folkteatern di Gothenburg, il Festival di Avignone, l’Odéon – Théâtre de l’Europe di Parigi, il Teatrul Naţional “Radu Stanca” di Sibiu, il teatro de La Abadìa di Madrid. Tutti lavorano al tema centrale della convivenza umana all’interno delle grandi città. La famiglia Macaluso racconta con ironia e dolore la sua storia di miseria e di affetti. Sette personalità completamente diverse, sette visi segnati ed espressivi, interpretati dalle splendide Serena Barone, Elena Borgogni, Italia Carroccio, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi. Il concetto di morte, che non è solo quella fisica, ma anche verbale e dei sentimenti, non appesantisce la costruzione del racconto. L’ironia amara di cui si vestono le parole fa sorridere continuamente il pubblico. La lingua siciliana non impedisce la comprensione profonda e il silenzio pervade completamente la platea e i palchetti, pieni fin quasi alla piccionaia. In scena si alternano momenti di grandissima accelerazione corporea e linguistica, tanto da notare spesso l’accavallamento di parole e  di frasi in una confusione sonora che rende invece il senso di   profonda ritmicità musicale, a momenti di rallentamento verbale.  Le membra sono continuamente  in preda a spasmi e a movimenti eccessivi, amplificati volutamente. Le prime scene, affidate alla “motorietà” appunto, vedono queste donne marciare, ballare, contorcersi, provenire dal buio e tornare nel buio. La confusione delle processioni religiose, dei comizi in piazza, dei discorsi nei vicoli, il rumore dei passi, le sonorità mediterranee. Ciò che colpisce subito è che i personaggi non si “travestono”, bensì si “svestono”: donne e uomini vestiti di nero, con pantalone e camicia, nascondono sotto le loro vere identità. Tempi e luoghi vengono unificati dalla svestizione che nasconde abiti dai colori sgargianti, costumi da mare dell’infanzia, capelli legati. La temporalità del racconto viene dunque scandita proprio dal gesto della svestizione: il presente corrisponde all’abito nero, eliminato per raccontare il passato e far scorgere gli abiti sotto, e poi indossato di nuovo per tornare al presente. Gli attori basano la loro performance non solo sulla lingua siciliana; infatti, una delle sorelle parla uno strettissimo idioma pugliese, che identifica, appunto, la “pecora nera”, colei che sarà l’unica che verrà mandata in istituto e allontanata dalla famiglia Macaluso. Fortunata o meno, questa sorella viene identificata come artefice, non premeditata, dell’incidente  della sorella più piccola. Il pubblico di certo prova odio e compassione insieme per questa personalità arrogante che, però, è proprio colei che “vomita” tutto, smascherando gli scheletri di ogni componente della famiglia. La lingua che identifica un particolare personaggio è una scelta che ricorda Goldoni, ma ancor prima la Commedia dell’Arte e ancor prima quella plautina. La tecnica corporea, curata nei minimi particolari, è dettata dalle movenze del teatro dei pupi siciliani: spesso gli attori amplificano movimenti di braccia e gesti, come se avessero le membra di legno dei burattini, ma questa scelta è portata ad estremismi tanto da diventare voluta esagerazione, proprio quando il contrasto tra parole intense e membra contorte comincia a stridere fortemente. Questo comporta una visione faticosa del gesto, immagine che da un lato suscita subito il riso ma dopo poco anche profonda  compassione. Personaggi legati ad una miseria da realismo verista che qui, però, comunicano un discorso universale, lontano e vicino, allo stesso tempo, rispetto ad un mero riferimento geografico. Anche i visi degli attori si deformano in bocche spalancate e occhi sgranati, ricordando le maschere barocche di chiese e palazzi del Seicento siciliano, ma qui si aggiunge la frase ricorrente: “respira”. La bocca aperta, voragine oscura, deve respirare per sopravvivere alla morte, che appunto avviene per mancanza di aria, sott’acqua, al mare, o per un attacco di cuore del giovane nipote, interpretato da Davide Celona. Sandro Maria Campagna e Stephanie Taillandier interpretano rispettivamente il padre e la madre della famiglia Macaluso: madre morta prematuramente, lascia sette figlie che provano ad accudire il padre. Sembrerebbe una delle trame più note delle favole più antiche, compresa Cenerentola.  Ma è bene notare anche il rapporto tra il femmineo e il maschile: il padre diventa “mammo”, le figlie a volte madri del padre e a volte padri di famiglia. Il disequilibrio di cui parlavamo all’inizio si rivela anche in questo: il ruolo maschile e quello femminile si confondono, si invertono, si mescolano. E l’amplesso-danza tra i due genitori si trasforma in una sorta di immagine da “Pietà” michelangiolesca in cui la madre porta in braccio il padre. Ciò che è, e ciò che non è, rimane fino alla fine: una delle figlie voleva ballare. Stavolta è nuda, nella penombra più oscura, e si veste di un tutù, che le coprirà solo una parte del corpo, chiudendo l’ultima scena con l’immagine di una ballerina da carillon sbilenco. Pubblico commosso, più di tre minuti di applausi, musiche cinematografiche di estrema bellezza. I nostri morti sul proscenio, tra foto, spadini e scudi da teatro dei pupi. E quella scarpa che vola? Ricordate Pulcinella o i cavalieri dell’Opera dei Pupi che, a volte, nei combattimenti o nelle fughe, all’interno degli spettacoli dei teatrini, perdevano la scarpa? Anche in questo spettacolo, a volte, qualche personaggio perde una scarpa: il tonfo di questo oggetto, apparentemente banale ma di cui si potrebbe scrivere un trattato sul significato che ha nelle favole, arriva come il deus ex machina che scioglie il garbuglio del dolore e riporta sul binario lo scorrere doloroso della vita. Questo spettacolo finalmente unifica il giudizio positivo sia del pubblico che della critica. 

Teatro Mercadante Napoli
22-26 gennaio 2014
LE SORELLE MACALUSO
Testo e regia di Emma Dante
con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier
luci Cristian Zucaro
armature Gaetano Lo Monaco Celano
foto Carmine Maringola
produzione Teatro Stabile di Napoli, Théâtre National (Bruxelles), Festival d'Avignon, Folkteatern (Göteborg)
in collaborazione con Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale