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Secondo appuntamento del ciclo “produzioni speciali” dedicate alla drammaturgia contemporanea dello Stabile di Genova, questo lavoro dello spagnolo Juan Mayorga, nella traduzione di Antonella Caron, ha esordito il 18 novembre al teatro Duse ove resterà in  cartellone fino al 25. Affidato alla regia di Alberto Giusta alla scenografia di Guido Fiorato e alle luci di Sandro Sussi, vede in scena una compagnia prevalentemente giovane ma già con buone doti di maturità, capace di delineare con padronanza i caratteri dei personaggi, in particolari quelli per loro natura incerti dei due adolescenti, Claudio, interpretato da Vito Saccinto, e Rafa, da Cristiano Dessì. Nicola Pannelli è Germàn, il professore di letteratura e Roberto Alinghieri è Rafa padre, mentre Alice Arcuri e Fiorenza Pieri sono le due mogli in scena, assai speculari a scapito del loro voler rappresentare due antitetici modelli femminili, la donna intellettuale in carriera e la casalinga costantemente frustrata nei suoi sogni. Dramma di interni e di interiorità utilizza ed in un certo senso 'sfrutta' un apparente linguaggio di analisi sociologica, nel rappresentare la piccola borghesia affluente della nuova Spagna, per indagare i meccanismi alla base dei rapporti drammaturgici, e letterari in genere, tra autore e personaggio e tra il personaggio ed il suo tramite, nell'interferire e mescolarsi a volte contraddittorio tra pulsioni psicologiche ed esigenze per così dire estetiche, cioè tra due coerenze, quella esistenziale e quella letteraria, quasi sempre ricercate ma spesso fallite. All'interno di una scenografia, forse proprio per quanto detto, tanto aperta e povera da consentire di sovrapporre i diversi luoghi della rappresentazione, diversamente e alternativamente identificati proprio attraverso il dialogo drammaturgico che per così dire ospitano o meglio accendono, il professor Germàn, mentre corregge i compiti dei suoi allievi, è  colpito dallo scritto di uno di questi, Claudio, fino ad allora anonimo e quasi sconosciuto comprimario confinato appunto nell'ultimo banco. Equivocandone, forse del tutto intenzionalmente, il supposto intento o la supposta vocazione narrativa Germàn resterà man mano coinvolto, fin quasi ad esserne imprigionato, nel racconto stesso, sorta di schermo letterario ad una più profonda ed ambigua pulsione sostitutiva ed ossessiva di Claudio, il cui intento infine si scopre non essere quello di narrare la famiglia del compagno Rafa, bensì quella di penetrarne i meccanismi per alla fine di impossessarsene. La fabula, distraendosi a volte in notazioni di una sociologia un po' affrettata e superficiale (la casalinga frustrata, il padre che sogna impotentemente il successo e la ricchezza), rotola così quasi inconsapevolmente, ma inevitabilmente, verso il suo finale drammaturgicamente coerente. Germàn caccerà, schiaffeggiandolo, il suo allievo prediletto che attraverso i suoi scritti cerca, compulsivamente quasi, di penetrare ed insidiare anche la sua intimità familiare. Testo dunque ben congegnato che si articola nell'ambiguo rapporto tra l'immaginazione letteraria e la realtà, in cui pare non potersi discernere mai pienamente ciò che promana od appartiene all'una o all'altra, quasi nel solco della più antica tradizione iberica, quella per chiarezza di Calderon o Cervantes. Più difficile e per questo forse meno efficace la resa scenica, pur nella indubbia intelligenza delle già citate soluzioni registiche e recitative, resa scenica ove talora le sfumature tendono a perdersi e l'ambiguità dei conflitti ad essere troppo frettolosamente recisa da una, probabilmente inevitabile, tensione a razionalizzare e organizzare il percorso drammaturgico. Comunque uno spettacolo interessante nel testo e, alla fine, abbastanza efficace anche nella sua realizzazione, e di buon successo.