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Il teatro è il regno dell’incertezza e del dubbio. Aspira alla perfezione, nella consapevolezza della difficoltà nel raggiungerla, si nutre di comunicazione nella cognizione della soggettività del linguaggio, brucia nella memoria. La regia deve saper governare tutte queste tensioni. Tindaro Granata, lo fa con arte. I suoi spettacoli sono ben equilibrati, pieni di significati, metafore poetiche, vanno oltre le nude parole. Lo spettacolo “Invidiatemi come io ho invidiato voi” si basa su un fatto di cronaca realmente accaduto "ma il riferimento che c'è sotto è puramente metaforico". Perché l’autore non si limita al racconto della vicenda come potrebbe avvenire nel teatro civile, il fatto di cronaca diventa un mezzo per raccontare le emozioni delle persone coinvolte, le piccole realtà, gli incubi, le solitudini, le delusioni che ci spingono a cercare rifugio nel vuoto, nei falsi sentimenti. Tutti gli attori (Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Paolo Li Volsi, Bianca Pesce, Francesca Porrini, Giorgia Senesi) ben calati in queste fredde anime, in grado di rendere le sfumature dei loro personaggi, con gesti, espressioni e toni carichi, si rivolgono al pubblico come in una sorta di cronaca degli avvenimenti, trattando la platea come un interlocutore con cui condividere l’esperienza. Angela Abbandono (interpretata da un’intensa Mariangela Granelli), è incriminata di favoreggiamento alla pedofilia, ha affidato la sua bambina all’amante, non per incuria, non per ignoranza, perché ha perso la sua innocenza, ha perso la bambina e la madre che ogni donna porta in sé. La bimba muore tragicamente, tutti vanno in cerca della verità. O meglio, ogni personaggio racconta la propria verità, ma nessuno ce l’ha. Perché la verità è nascosta fra le finestre spezzate, negli infissi logori, negli abiti spenti, nei mobili assenti Le scene e costumi di Eliana Borgonovo, in armonia con la rappresentazione, si accompagnano al disegno luci di Matteo Crespi e alle elaborazioni musicali di Marcello Gori; raccontano il groviglio della vicenda senza mai cadere nel pietismo e ben sottolineano i passaggi di tempo e spazio in una scena quasi nuda. Chi è il vero colpevole? L'invidia. Ma cos’è l’invidia? L’autore attraverso la parola scenica e la rappresentazione dei segni teatrali, ci offre una panoramica complessa di questo sentimento molto comune oggi, la "tristezza per i beni altrui" come la definisce San Tommaso, il rammarico e il risentimento che si prova per la felicità, la prosperità e il benessere altrui, la povertà affettiva, l’assenza di amore, l’incapacità di amare l'amore, di godere del bene altrui e di rattristarsi dell’altrui male, come scrive Spinoza nella sua Ethica, "è l'odio impotente contro ciò che non si può essere o che non si può avere". Nicola Abbagnano dà una definizione a mio avviso molto vicina alla poetica di Granata, l’invidia è l’assenza di indulgenza e compassione. In una società concentrata sulla vanità e la superficialità, nessuno dei personaggi riesce ad avere compassione per quello che è avvenuto, tutti hanno perso la com-passione, coltivano passioni esanimi, adorano oggetti, restano fredde anime in cerca di luce. Quale messaggio dalla regia in questo buio dell’anima? Tutti noi dovremo educarci ad una maggiore comprensione ad una maggiore tolleranza verso gli altri e se le verità sono come demoni notturni, come diceva Sábato, (il poeta degli abissi) la verità dell’uomo è pure la lotta contro i propri demoni sempre ammesso che riusciamo a riconoscerli, perché spesso siamo noi stessi il tramonto dell’anima.

Milano, Teatro Elfo Puccini, 20 Febbraio 2014