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Una rappresentazione che trae lo spunto da un libro ma soprattutto da racconti e testimonianze sulla medicina «La vita distratta» racconta la storia del professor Mario Venturi, noto primario anestesista, che, per una banale distrazione, commette un errore fatale in sala operatoria che determinerà la morte di un suo paziente. Per conservare tutto ciò che ha raggiunto in anni e anni di onorata carriera, fama, successo, soldi il medico tenta di far passare il proprio sbaglio sotto silenzio. Ma qualcuno ha visto e parlerà... Venturi si trova a dover fronteggiare tutte le altre «distrazioni» che hanno caratterizzato la sua vita. Distrazioni nei confronti della moglie che lo abbandonerà, nei confronti del figlio, indifferente e cinico. Distrazioni nei confronti di se stesso. Arriva così il momento difficile in cui la vita presenta il suo amaro conto. Il dramma trae spunto dal romanzo di Marco Venturino «Si è fatto tutto il possibile» (edito da Mondadori). Venturino condivide con l’immaginario Venturi il fatto di essere un medico di successo e di essere anche lui primario di un importante reparto di Terapia Intensiva di Milano. La regia di Massimo De Vita si sofferma ad evidenziare le riflessioni del medico che a partire dal suo errore analizza tutti gli errori di una vita trascorsa ad inseguire il successo. Massimo De Vita partecipa allo spettacolo lo vede seduto in platea, è in empatia con i suoi attori e recita a memoria quasi tutte le battute. Una vita dedicata al teatro e agli altri. Sicuramente la sua non è stata una “vita distratta”. Direttore artistico del Teatro Officina dagli anni Settanta, ha lavorato per creare un teatro di territorio. Quarant’anni ben spesi. Una vita dedicata agli ultimi e alle narrazioni degli ultimi Il nome richiama il mondo del lavoro, una fucina creativa e in effetti nel 1973 i fondatori del Teatro organizzarono spettacoli fuori dai cancelli della Breda, per palco utilizzavano un camion. Negli anni Ottanta quando Milano era la “Milano da bere”, la cooperativa in seguito a un incendio (probabilmente doloso, provocato da piccole mafie locali) cambia sede e diventa associazione, ma non cambia la sua vocazione di lavoro teatrale sul territorio e per il territorio. La novità più significativa l’iniziativa del Teatro nei cortili delle abitazioni la gente di periferia partecipa e si commuove ascoltando i testi di Sant’Agostino, Proust, Benjamin, Leopardi. Gli anni Novanta segnano l’inizio di un percorso di spiritualità visto dal punto di vista dei laici. Lo spettacolo significativo “Una voce per i Vangeli” «Un punto di perfetta convergenza fra la poetica e la pratica del Teatro Officina», come stigmatizza Ivan della Mea su l’Unità in un articolo dell’8 febbraio 1991. E oggi? Oggi si valorizzano talenti, si lavora con gli adolescenti si sperimenta anche con loro nelle attività del Centro Delle Emozioni che Daniela Arioldi Bianchi (pedagogista teatrale con una competenza specifica nel teatro con gli adolescenti, di cui è considerata un’esperta docente del Master “Teatro e scuola” dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, Scienze della Formazione) conduce da quindici anni. La Compagnia guidata da Massimi De Vita continua il lavoro di ricerca sulla parola scenica e sulla narrazione. Un discorso a parte merita il sodalizio che fin dal 2009 il Teatro Officina ha stretto con il professor Bruno Andreoni, primario dell’Istituto Europeo di Oncologia sui temi della Medicina Narrativa, format che coinvolge nel lavori di scena in qualità di testimoni e narratori, infermieri, medici, barellieri, badanti, pazienti E infine la scuola di teatro condotta da Massimo De Vita che è anche scuola di vita, di responsabilità. Prima di dare inizio allo spettacolo, De Vita chiacchiera con il pubblico. Vengono fuori perle. Chi è l’attore? un uomo responsabile dei propri gesti e delle proprie intonazioni, con cui racconta se stesso e gli altri “Io sono gli altri” è uno degli obiettivi principali del Teatro. Gli altri, i fratelli delle altre culture, i rifugiati politici, i giovani disoccupati, le donne maltrattare, gli altri, quelli che non hanno voce. Nella brochure stampata in occasione del quarantesimo anno di vita, mi soffermo a leggere i suoi consigli ai giovani attori. Li leggo con interesse e li copio per voi che leggerete, ma non sono rivolti solo ai giovani attori, queste parole valgono per chiunque voglia affrontare qualsiasi lavoro con responsabilità e andando in profondità. Buona lettura: “Breviario per un giovane attore. Non è obbligatorio fare l’attore. Meglio un buon sarto oggi che un mediocre commediante domani. Provate a dire, buongiorno, allegramente la mattina quando vi alzate. Se ci riuscita non avete bisogno di esercizi yoga. Aprite la porta o la finestra, e sorridete al vostro vicino. Se lo farete siete ancora vivi. Come dire: avete una buona mimica. Alzate gli occhi al cielo: se vedete dall’alto fiammeggiar le stelle in purissimo azzurro, voi siete proprio fuori di testa, cioè sani da legare. Scendete fra la gente, date una mano senza chiedere nulla in cambio a storpi, casalinghe, drogati, impiegati bancari...Così, tanto per correre un rischio, una volta nella vita. Insomma non abbiate paura del nuovo. Amate e odiate voi stessi, non l’immagine che vi regalano i mass-media: nel fondo di Dash c’è il vuoto sempre; nel fondo del vostro cuore un inesauribile tesoro (che non si paga in gettoni d’oro). Toglietevi dalla testa Brando, De Niro, la Bellucci e anche Antonio Albanese. Ne guadagnerete in salute. Cercate di essere Pietro, Anna, Giulia, Daniele. Costa fatica, ma alla lunga è più gratificante...Stavo per dire più umano. Voi mi chiederete: «Ma cosa c’entra tutto questo con il teatro?» C’entra, Credetemi c’entra.

Milano, Teatro Officina, 23 Febbraio 2014