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Classe 1980. Nicolai Lilin, pseudonimo dello giovane scrittore russo Nicolai Verjbitkii, presenta al mondo intero il romanzo EDUCAZIONE SIBERIANA. Successo, traduzioni, film di Gabriele Salvatores. Arriva anche in scena. Un regista napoletano, Giuseppe Miale di Mauro, in collaborazione con la

Fondazione del Teatro Stabile di Torino, gira l’Italia con questo spettacolo. “Criminali onesti” è la definizione ricorrente: ossimorica e cruda descrizione del codice etico su cui si basa la vita della comunità degli Urka siberiani. Parliamo ovviamente di una collocazione storica che vede gli anni del  crollo del muro di Berlino, la Perestrojka, la figura di Gorbaciov, l’immagine confusa e preponderante degli Stati Uniti. La collocazione geografica di questo romanzo  è una regione della Moldavia, la Transnistria, autoproclamatasi indipendente nel 1990. Nel 1992 la realtà storica influenza il giovane Nicolai, ancora adolescente, e lo educa a seguire un codice di comunità anarchica che si ribella al potere effettivo. La realtà si riversa nella narrazione.  Tutto ciò che si percepisce profondamente è il ribaltamento delle gerarchie istituzionali: gli “sbirri” diventano i cattivi, gli anarchici i buoni. Il discorso “bene-male” è il tema universale che si evince dallo spettacolo, attraverso un pensiero che potrebbe essere avulso dalla storica verità ed essere ambientato anche nella nostra contemporaneità.  Ma l’educazione siberiana è un codice che protegge una specifica comunità, legata fortemente ad una cultura antica, ed è inscindibile dal luogo in cui è nata. Kuzja, l’anziano, capostipite e divulgatore delle regole, Boris e Yuri, il bene e il male nelle vesti di due fratelli, Nixon il neutrale che parla inglese ed è stolto -  ma lo è davvero? È la storia che lo uccide? L’Occidente che incombe? - , Igor lo sbirro. La costruzione dell’intero spettacolo è fortemente cinematografica: lanciata a grande velocità sin dall’inizio, l’azione non lascia allo spettatore la possibilità di respirare, di fermare lo sguardo per riflettere.  Il palcoscenico è diviso in due piani: l’interno della casa-bunker, in cui vivono rifugiati e nascosti i “criminali onesti”, e l’esterno, sul piano sopraelevato. Un pannello di pietra scorre sul fondo, squarciando via via lo sguardo verso il ponte di un fiume, l’interno del carcere, una stanza immaginaria, il luogo delle torture, la strada. Il doppio fondo, come quello di una cassa di un mago, viene utilizzato ripetutamente per ricostruire cronologicamente ciò che viene narrato attraverso le pagine di un libro e che, quindi, sarebbe impossibile rappresentare contemporaneamente sullo stesso piano scenico. Il palcoscenico diventa, dunque, multipiano e multi temporale. L’immagine di una Russia comunista e schiavista, l’anarchia violenta dei ribelli, la spia ( Yuri, uno dei fratelli) che tradisce la comunità e insieme allo sbirro vende la sua gente all’Occidente. La droga procura denaro facile e in grosse quantità, stordisce la gente che non ne ha consapevolezza e conoscenza, spinge i membri di una stessa comunità gli uni contro gli altri. Spinge soprattutto i due fratelli a scontrarsi: Caino ed Abele ed una madre. La grandiosità data alle scene, ricordando a tratti i grandi colossal cinematografici, colora il racconto, storico e biografico insieme, di eccessive aspettative che ricordano l’universalità dei temi della tragedia greca. Il tutto, però, si sgretola davanti alla fredda descrizione della storia, alle vuote parole russe, alle frasi lapidarie, alla violenza onnipresente. Nonostante la buona regia che appassiona il pubblico, che presenta ottime scelte nella costruzione luministica – basti pensare ad alcuni volti che emergono limpidi dal buio ed ad alcuni chiaroscuri tagliati con luce laterale che ricreano in scena dei veri e proprio dipinti- , nonostante l’ottima scelta di una colonna sonora che fa da protagonista durante l’intero spettacolo, alcuni elementi portano ad una esasperazione della situazione. L’eccessiva arroganza nelle sonorità vocali, nell’accentuazione delle parole e delle frasi minacciose, le sedie spostate continuamente e sbattute per terra, i pugni e le stoviglie tirati ripetutamente sul tavolo, i pugnali conficcati nel legno, le urla, e gli infiniti bicchieri di vodka, caratterizzano il racconto scenico come una corsa velocissima che toglie il respiro e  stordisce.  Gli inserti narrativi, dettati dalla natura letteraria del testo originale, costituiscono un collante tra le parti temporali, assumendo la stessa funzione che spesso ha la narrazione fuori campo nei film. Purtroppo i rumori e le urla spesso coprono le parole, distogliendo il pubblico, la cui attenzione viene incanalata continuamente verso immagini veloci e “ad incastro”: davanti, lateralmente, sul fondo, attraverso le luci, in un continuo scorrimento di azioni e tempo. Tatuaggi e religione si mescolano alle armi, all’interno di un angolo rosso, un altarino casalingo, con candele, immagini di defunti, icone bizantine, pistole, pugnali, tutti i simboli del codice siberiano. La conoscenza dei significati dei tatuaggi e delle parti del corpo sulle quali vengono incisi, la simbologia insita in alcuni tipi di armi sono alla base di un codice legato ad una specifica comunità. Del resto i codici segreti nascono proprio all’interno di culture che tendono a proteggersi.  Ma ci si chiede: perché far urlare continuamente gli attori? Perché renderli imitazione, nei movimenti e negli atteggiamenti, di  Al Pacino ne “Il Padrino” o di  Bruce Lee? Lo spettacolo è entusiasmante ma questo vociare, urlare, picchiare, accoltellare, punire e insanguinare continuamente fa perdere a volte il punto di vista principale, cioè l’evoluzione e la costruzione dell’educazione siberiana, le motivazioni della nascita di questo codice e la sua successiva decadenza. Invece, per un attimo si pensa di essere spettatori di una lotta tra clan in una delle nostre città. Non dimentichiamo, però, di porgere il nostro  plauso finale  all’ intensa interpretazione di Luigi Diberti ed Elsa Bossi. ( foto di Andrea Macchia)

Foto di Andrea Macchia

EDUCAZIONE SIBERIANA
Teatro Bellini Napoli
4-9 marzo 2014
EDUCAZIONE SIBERIANA
di Nicolai Lilin e Giuseppe Miale di Mauro
da un’idea di Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo
regia Giuseppe Miale di Mauro
scene Carmine Guarino
luci Luigi Biondi
musiche Francesco Forni
costumi Giovanna Napolitano
cura del movimento Roberto Aldorasi

Fondazione del Teatro Stabile di Torino/Teatro Metastasio Stabile della Toscana/Emilia Romagna Teatro Fondazione in collaborazione con NestT (Napoli est Teatro)

Lo spettacolo è tratto da Educazione siberiana di Nicolai Lilin
(Giulio Einaudi Editore, prima edizione Supercoralli 2009)

Personaggi e Interpreti
Luigi Diberti – Nonno Kuzja
e in ordine alfabetico
Elsa Bossi – la madre
Ivan Castiglione – lo sbirro
Francesco Di Leva – Yuri
Giuseppe Gaudino – Mel
Stefano Meglio – Nixon, Kesja
Adriano Pantaleo – Boris
Andrea Vellotti – Igor, sbirro