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Questa nostra Antigone che va molto di moda, ultimamente, sui palcoscenici italiani, stavolta viene descritta e raccontata da una cornacchia. Ebbene sì, la tragedia in favola e musica non è una novità assoluta, ma di certo coglie l’idea originale di ricerca e diffusione di tematiche universali, storiche e fantastiche insieme, che la cultura greca avrebbe tramandato a tutto il mondo durante i secoli. Antigone, colei che va contro le regole ferree del nuovo tiranno Creonte, lo zio, decide di seppellire il fratello Polinice, considerato traditore del potere e  morto nello scontro contro l’altro fratello Eteocle, per ottenere il trono di Tebe. Tra i due litiganti il terzo gode, e lo zio Creonte sale al trono, sulle ceneri e  sulle macerie di una Tebe devastata dalla sete di potere, in cui la progenie del vecchio Edipo, caro a noi tutti cultori del Novecento, va dissolvendosi. Anche Antigone, punita dal re e rinchiusa in una grotta, morirà come eroina ante litteram. Quel potere che distrugge i legami famigliari, non ancora letti attraverso l’ottica cristiana, in una cultura in cui le divinità umanizzate influiscono sull’evoluzione della storia, diventa cardine ed elemento fondamentale della tragedia. La sepoltura dei cadaveri era una delle pratiche  più importanti, poiché lasciare il corpo alla mercé dei cani e degli uccelli, torturato e non “glorificato” ( ovviamente non secondo l’idea cristiana), rappresentava una grave perdita d’onore per il morto e per la famiglia intera, considerando anche le conseguenze “divine”. Caratterizzazione classica dei riti funebri, che ritroviamo anche nella vicenda di Achille e del povero Ettore, all’interno dell’Iliade, fino alla preghiera di Priamo affinché il figlio venga sepolto degnamente, e nell’Eneide virgiliana in cui Enea cerca di seppellire Polidoro, mentre  sgorga sangue nero dalle fronde, simbolo dell’uccisione cruenta e del mancato ed effettivo passaggio  nell’Ade. Nello spettacolo in scena al Piccolo del Bellini di Napoli, dal 6 al 9 marzo, la rilettura di Ali Smith, per la regia di Roberto Tarasco, porta in scena Anita Caprioli, accompagnata dalla voce del cantante e performer Didie Caria. Ma vogliamo cominciare dalle installazioni scultoree di Giovanni Tamburelli: un tronco ramificato in ferro battuto, le cornacchie stilizzate, una goccia di cristallo. L’idea del leggio-ramificato, che ricorda appunto le fronde virgiliane legate a Polidoro o quelle dantesche di Pier delle Vigne, struttura scenica su cui si poggiano le mani e le parole dell’attrice, diventa parte integrante della narrazione, poiché le cornacchie in ferro vengono inserite, via via, sui rami della pianta. L’idea è quella di raccontare l’Antigone come se fosse una fiaba, quindi descritta attraverso un linguaggio semplificato e accessibile a tutti, anche ai più giovani, e soprattutto attraverso il punto di vista della cornacchia. Colei che osserva tutto dall’alto, colei che racconta alla sua prole, colei che ha visto per prima il cadavere di Polinice, poiché se ne serve come cibo, colei che costruisce il suo nido proprio sopra il portone del palazzo reale, da dove le due sorelle, Antigone ed Ismene, usciranno e decideranno il da farsi. Attraverso gli occhi dell’infanzia, che mettono in luce soprattutto sentimenti e legami famigliari, elementi che nell’opera originale vengono sempre soverchiati dalla visione religiosa e politica,  il mondo degli adulti viene caricaturizzato attraverso descrizioni orali. Il coro, dunque, che Sofocle e gli altri tragediografi consideravano elemento fondamentale nell’attività didascalica della tragedia, qui è sostituito da una cornacchia narrante, sulla falsa riga delle favole di Esopo, nonostante il comune significato funereo di questo animale. Il racconto della Caprioli, arduo per la sua lunghezza e per i  momenti in cui l’attenzione del pubblico scema, viene intervallato dalla presenza canora del torinese Didie Caria: voce vibrante dalle sonorità blues e gospel, il performer affianca la narrazione ad interventi vocali e registrazioni audio in scena, riuscendo a sovrapporre rumori, suoni, base vocale e recitazione. Purtroppo, però, se la narrazione della Caprioli è impostata su una rigidità a tratti eccessivamente arida e poco coinvolgente, l’inserimento della musica e degli effetti sonori a volte si mescola perfettamente al racconto, creando un’atmosfera immaginativa  funzionale, ma altre volte invece distrare l’attenzione del pubblico. La scelta di spezzare il ritmo narrativo andando sul fondo e prendendo gli oggetti di scena, come le cornacchie disseminate sul palco, ed inserendo la recitazione-narrata del cantante, non funziona. Forse, sarebbe opportuno continuare con lo stesso stile fino alla fine, inserendo la parte musicale durante la narrazione, come sottofondo o completivo della storia, dando movimento, così come avviene in alcuni punti, ed evitando che il cantante spezzi notevolmente il ritmo. Infatti la sua interpretazione della guardia è un surplus, quando invece il racconto non si è  mai proposto di mettere in scena nessuna interpretazione di personaggi, bensì una narrazione con intermezzi affidati al discorso diretto, così come avverrebbe nella semplice lettura di un testo. L’idea della tragedia raccontata come favola, con inserimento della ricerca musicale, anche elettronica e con la scelta di brani contemporanei ( ci torna in mente  “Radio Argo” di Igor Esposito, mentre qui si va dall’ “Halleluja” di Leonard Cohen a “Born to die” di Lana Del Rey, in chiusura, come riferimento alla giovane vita di Antigone) è innovativa e incuriosisce. Bisognerebbe creare una maggiore osmosi tra i due personaggi in scena, attivando ancor di più nella mente dello spettatore l’immaginazione: il racconto, infatti, crea limitate immagini sceniche, ma piuttosto mentali, che a volte si dissolvono improvvisamente proprio perché il pubblico viene “ distratto” da qualcosa che non si inserisce perfettamente nella costruzione del momento. L’adattamento del testo è significativo, così come la descrizione dei personaggi, quasi da film-cartone: pensiamo all’emozionante racconto dell’ apparizione di Tiresia, accompagnata dalla luce bianchissima sul palcoscenico. Quasi un dio umano, l’augure cieco  che trae gli auspici dal volo degli uccelli, accompagnato dal rumore della nube di cornacchie, riprodotta attraverso la rielaborazione elettronica della voce, direttamente in scena. L ’ambientazione surreale è una base di partenza fondamentale affinché questo racconto crei atmosfera, ed in effetti la presenza dei suoni e delle installazioni scultoree contribuisce ad un’iniziale ambientazione mentale, che poi, si dissolve, purtroppo, sganciandosi dal terreno dove aveva attecchito sin dall’inizio. (foto di Luca Lombardi)

LA STORIA DI ANTIGONE
FAVOLA IN MUSICA PER CORNACCHIE, CANI SELVATICI, MALEDIZIONI, TIRANNI, SEPOLCRI & FANCIULLE IN FIORE
Piccolo del Teatro Bellini Napoli
6- 9 marzo 2014
La storia di Antigone riscritta da ALI SMITH dalla tragedia di SOFOCLE è raccontata da
ANITA CAPRIOLI e cantata da DIDIE CARIA
Regia Roberto Tarasco
Sculture Giovanni Tamburelli
Costumi Atelier Bassani
Produzione Nidodiragno di Angelo Giacobbe