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Francesco Frongia, ascolta la voce di Christa Wolf che parla attraverso Cassandra, che parla e risuona meravigliosamente in tutte le corde del corpo, attraverso Ida Marinelli. Una voce perennemente attuale, che va oltre gli eventi narrati nel segno di una ostinata difesa dei diritti dei vinti e dei vincitori: non c’è salvezza per nessuno dopo una guerra, di ognuno muore una parte. In scena un paesaggio del dopoguerra, di una delle tante guerre dell’umanità, un paesaggio che nasce dal sentimento tipicamente umano dell’autodistruzione, nessuna specie animale ce l’ha, solo l’uomo. Eroina classica per eccellenza, Cassandra rivive nella scrittura di Christa Wolf, la più nota scrittrice dell’ex DDR (1929- 2011) La sacerdotessa troiana, figlia di Ecuba e Priamo, racconta le vicende e i retroscena della guerra, Ida Marinelli, dopo il debutto nel gennaio 2012, torna in scena con la sua tagliente e sofferente Cassandra, diretta da Francesco Frongia, autore anche di scene, costumi e video. Davanti a un fondale rosso, pieno dell’orrore del tempo e stasi stessa del tempo (disegnato da Ferdinando Bruni), Ida Marinelli dà vita al mito e al silenzio dell’umanità lacerata dalla guerra, non solo quella di Troia. Berlino Est ai tempi della Stasi diventa lo specchio della città perduta di Cassandra. Attraverso di lei vediamo il crollo dei miti, nell’epoca delle disillusioni. Il commento riportato nel libretto di sala, della stessa Christa Wolf, traccia una linea interpretativa: "Sentivo Cassandra come una figura molto significativa per il nostro tempo. Durante un viaggio in Grecia ho visto Micene, ho vissuto con tutti i sensi il paesaggio che era stato quello di Cassandra. Mi ha interessato cogliere il punto cruciale, alla nascita della nostra cultura, in cui è cominciata quell'alienazione che adesso ci porta vicino all'autodistruzione. Mi ha interessato il momento in cui, con l'avvento della società patriarcale e gerarchica, l'espressione letteraria femminile sparisce per millenni." Figlia prediletta del re Priamo, sacerdotessa con il dono della veggenza scopre e svela gli inganni e le manipolazioni che portano alla guerra. Si ribella con la voce che le scuote ogni parte del corpo fino ai limiti della follia, la voce profetica di sventure e di morte. Attende la morte nella fortezza di Micene, dove l’ha condotta come prigioniera Agamennone. Nelle pagine della Wolf il suo racconto scivola all’indietro, lungo i dieci anni della guerra di Troia, il pretesto, gli inganni: “Non c’è nessuna Elena”, la rovina della sua città, gli orrori della guerra e i suoi processi disumani. Le sue parole non sono semplici ricordi, ma rivelano la potenza del suo sguardo, la capacità di vedere e prevedere di sognare e immaginare una società incruenta e femminile. Il disegno della regia creativo e originale, mostra il dono della veggenza come in un sogno, attraverso l’uso di immagini video che aprono e chiudono la scena; Cassandra si risveglia dal sogno e comincia a narrare circondata da oggetti di una semplicità estrema, e di grande efficacia (scenografo realizzatore  Elisabetta Pajoro): il carro dei prigionieri che diventa il letto, il cavallo; assi di legno che rappresentano le mura di una città assediata, la scalinata di un palazzo; il baule di una camera da letto che svela il mare. Gli oggetti di Francesco Frongia riscrivono una vita, disruttori di illusioni; accanto agli oggetti naviga, fra le rovine, un’idea di tempo dilatata. Il Tempo, il dio che tutto facilita e tutto distrugge, dicevano i Greci, il tempo come valore: il futuro diventa presente, il presente amplifica il passato e il passato diventa un continuo monito, il filo della voce che attende un’umanità di pace. Che cosa resta? Restano le parole scritte in bianco sulla scena scura, resta la voce. Il tempo annoda i miti in un’unica voce, quella dei vincitori e dei vinti. Cassandra, non creduta, rappresenta la voce degli uccisi, ma anche la tenerezza, la comprensione per chi si perde, per la debolezza dell’uomo. Come dice Luigi Aliprandi, (La sposa perfetta, Marsilio) «C' è bisogno che qualcuno cada, faccia rotta, indichi la strada, / il segno, la speranza di chi cade inascoltato. / E beato chi comprende la debolezza».

Foto Luca Piva

Milano, Teatro Elfo Puccini, Sala Fassbinder, 20 Marzo 2014