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Il “Teatro dei Venti” da anni impegnato a Modena in laboratori e spettacoli sul disagio psicologico e sociale compie, anche con questa drammaturgia, uno scarto assai interessante dal consueto teatro sociale o del sociale, che ci ha abituato alla rappresentazione/esibizione del disagio o dei disagiati, costruendo al contrario una relazione didattica ed educativa ribaltata.
Mette in scena, cioè, ciò che attori e drammaturghi, musicisti e tecnici di scena, hanno imparato o interiormente elaborato nel corso del loro continuativo contatto con il disagio, sia questo mentale, o dei reclusi o dei giovani emarginati di Napoli.
Rappresenta dunque quella realtà non spostandola semplicemente sulla scena ma trasformandola  con gli strumenti del teatro, e quindi cerca di mette in scena una realtà assai particolare nella sua forma universale, dentro ed utilizzando lo schermo della contingente finzione.
Così nasce ed è questa drammaturgia, al Teatro Akropolis di Genova nel contesto di Testimonianze Ricerca Azioni, sabato 12 aprile.
Opera, come narra il titolo, di confine, ma non un confine sociologico, la periferia ovvero l'emarginazione, ma bensì artistico e ancor più sintattico, il confine del “senso comune” che imprigiona le storie e le esistenze in una restrizione senza speranze, ancor più nei luoghi più profondi e lontani delle nostre città e delle nostre menti.
Spazio e tempo e, all'interno, corpi fisici che si muovono e disegnano le dimensioni di una realtà che in quello spazio ed in quel tempo non ha via d'uscita, ma che nello spazio e nel tempo del teatro, nella sua finzione illuminante, può indicare una via di uscita forse ad altri.
Esistenze quelle che si muovono sulla scena che ricordano canoni consolidati e anche, a nostra consolazione, alienati, esistenze scandite dai ritmi della tradizione partenopea e delle sue deviazioni popolari o neo-melodiche, esistenze in cui emergono come relitti le immagini di un passato consolatorio ma ormai pervertito (il famosissimo brano del “caffè” di Edoardo recitato mentre ci si prepara la dose di eroina), esistenze chiuse a sé stesse, incapaci di riconoscersi fuori da ruoli e schemi (dalla casalinga al killer camorrista) paradossalmente l'uno con l'altro coerenti.
Eppure esistenze da cui con fatica emerge talora una bellezza abbagliante e sconcertante, che le musiche assecondano ed enfatizzano a partire dai ritmi di tranche della tarantella.
Il teatro non salva, lo dice anche uno dei protagonisti, il teatro però mostra, dimostra e fa capire, è veicolo ineludibile di comunicazione e consapevolezza, e così ribalta il senso comune anche quando questo ne è la base.
Una drammaturgia, talora stordente, sempre robusta e mai indulgente, ideata da Giulio Costa, per la regia di Stefano Tè. Le musiche, veramente belle, sono di Matteo Valenzi e Igino L. Caselgrandi. In scena, sapienti nell'uso del corpo e della voce, Igino L. Caselgrandi, Francesca Figini, Antonio Santangel e Stefano Tè. Voce fuori campo Ernesto Mahieux. Un pubblico attento oltre lo sconcerto.