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Durante la stagione 2013/2014 abbiamo visto spesso l’Antigone sofoclea rivivere sulle tavole dei palcoscenici napoletani ed italiani. Questo dovrebbe far riflettere attentamente. La frequenza incessante della ripresa della tragedia, e soprattutto di questa tragedia, durante l’ultimo anno, è sorprendente. È un segno dei tempi, della nostra Storia, della nostra società e della nostra cultura. È segno che i nostri anni trascorrono a cavallo di baratri sempre più profondi e  che la tragedia greca si esprime ancora, profondamente, senza nessuna esitazione, violentemente, all’interno della nostra contemporaneità. Politica, religione, governo, potere, famiglia. Temi che la giovane Antigone e i suoi congiunti, vicini e lontani, rivivono incessantemente sul palcoscenico, memori dell’insegnamento rivolto al pubblico antico, così come a quello contemporaneo, entrambi in silenzio davanti alla tragedia dell’umanità. Questa ANTIGONE –UNA GUERRA CIVILE, spettacolo in scena presso la Sala Assoli di Napoli, in due sole repliche fugaci, il 16 e 17 aprile, è una riscrittura. Drammaturgia e regia firmate da Mirko Di Martino, in scena Titti Nuzzolese e Luca di Tommaso. Volutamente non sveliamo subito i ruoli poiché proprio la scelta di questi è fondamentale all’interno dello spettacolo. Portatori di tematiche e delle fondamenta narrative non sono solo Antigone e Creonte, ma sono soprattutto i personaggi minori: si ribalta l’immagine originaria di un’Antigone eroina, simbolo  della giustezza politica, religiosa e familiare. L’ambientazione storica è quella del secondo dopoguerra. Antigone è una ex mussoliniana, la ragazzina che vinse la “M” d’oro, Ismene è una partigiana. Curiosamente e in maniera originale, la drammaturgia ribalta assolutamente il punto di vista. Creonte diventa un commissario politico dedito alla diffusione e alla promulgazione della democrazia in città, Ismene si ribella al Fascismo, segue le orme dello zio, qui dittatore di ascendenza comunista più che partigiana. La ragazza decide di continuare ad infierire, come monito politico- sociale, sul corpo del fratello Polinice, fascista anch’egli, appeso per i piedi ad un lampione ed esposto al pubblico ludibrio, così come avvenne per Mussolini.  Antigone, fascista o ex fascista, descritta attraverso un’immagine ibrida e  mai univoca, vuole seppellirlo. L’adesione e il distacco dal testo originale porta ad una continua mobilità della drammaturgia che sembra, da una parte, lanciarsi verso l’originalità, perdendo a volte le solide fondamenta dell’originale greco, dall’altra sembra rispettare attentamente la caratterizzazione originaria dei personaggi, nonostante la diversa collocazione storica.  L’immagine generale è quella di una confusione politica e sociale che crea altrettanta confusione all’interno dei ruoli dei personaggi, a loro volta interpretati, via via, dai due soli attori. Anche la guardia, dallo spiccato accento settentrionale, forse a ricordo della Guerra di Trincea, anche se di periodo precedente, diventa portatore di notizie, personaggio in proscenio che reclama attenzione, contenitore di cammei comici che smorzano la drammaticità del racconto. Semplice ma significativa la scelta di porre in scena un appendiabiti, al quale attingerà soprattutto Luca di Tommaso, per indossare o svestire i panni di Creonte, della guardia, del coro, di Emone. Titti Nuzzolese, invece, indossa o toglie specifiche paia di scarpe, di memoria cinematografica, azzardando il ricordo del film “Schindler’s list” e quindi, dei campi di concentramento: le ballerine per Ismene, accesa, giovane e irruente, gli stivaletti con il tacco per Antigone, più matura, più oscura e poco eroica in questa riscrittura, nonostante Ismene la ammiri e la rifiuti contemporaneamente. È inevitabile che il pubblico parteggi per la giovane Ismene, nonostante abbia a cuore la causa politica e non quella del fratello morto, mentre Antigone, ambigua ancora una volta, così come lo sono tutti i personaggi, rifiuta la causa fascista solo in nome dell’amore fraterno e familiare, anche se il Polinice fascista fa dubitare della scelta affettiva della sorella. Due fazioni che si oppongono, così come è solito nella Storia di tutti i tempi, ma qui i due antipodi non sono il valore politico o quello umano e religioso, bensì due fazioni di potere. Se da un lato il grande legame tra politica e divinità, presente  nel testo originale, qui si frantuma e si scolla dalla narrazione, nonostante sia tema fondamentale all’interno della storia di Antigone, poiché legato alle pratiche religiose greche e al concetto di sepoltura, dall’altro la collocazione quasi contemporanea sembra funzionare, nonostante alcuni vuoti all’interno della drammaturgia. A tratti, infatti, il testo  sembra indeciso sulla scelta tematica e temporale da seguire: stralci di elementi del testo antico affiorano all’interno di un ribaltamento che, in realtà, porta in scena un testo ex novo che si evolve sulla base della trama della tragedia di Antigone. La protagonista tebana, infatti, viene descritta attraverso le parole della sorella, che qui non  è  compagna fidata nell’ardua questione della sepoltura, bensì si oppone fortemente anche davanti ai legami familiari. Ci troviamo davanti ad una specifica caratterizzazione di due forze politiche, entrambe, l’una decadente e l’una vittoriosa, portate ad eccessivi estremismi: rivelano la distruttiva e poco proficua sete di potere dell’uomo. Ecco, dunque, che Creonte è partigiano, rivoluzionario, democratico e a favore del popolo, ma nella sua caparbietà appare comunque come un nuovo tiranno comunista. La drammaturgia di questo spettacolo rappresenta l’idea di una probabile evoluzione dei personaggi originari, con trasformazioni inaspettate e non ancora ben definite. Anche lo splendido personaggio di Tiresia qui diventa una vecchina cieca che cuce la bandiera italiana, quasi un’indovina cumana o una narratrice di ispirazione basiliana, azzardando stralci di cultura e di antropologia campana. Buona la prova degli attori, nonostante alcuni  momenti di eccessiva rigidità interpretativa, che, ancora una volta, è legata all’origine,  la recitazione declamatoria tipica del teatro classico, ma che stona con l’ambientazione nostrana, italiana, a tratti risorgimentale, garibaldina e comunista ( la camicia rossa, il fazzoletto rosso) . La grandiosità di questi personaggi e di questa storia, al di là del tempo e dello spazio scenico in cui sono costretti a vivere, è data dall’intreccio e dai valori che ognuno di loro trasmette  e trasmetterà sempre attraverso l’eternità scenica.

ANTIGONE UNA GUERRA CIVILE
Sala Assoli Napoli
16-17 aprile 2014

ANTIGONE UNA GUERRA CIVILE
Drammaturgia e regia MIRKO DI MARTINO
Aiuto regia LAURA CUOMO
Con TITTI NUZZOLESE
LUCA DI TOMMASO
Scenografia ALFONSO FRAIA