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Penultimo appuntamento della stagione della genovese “Lunaria Teatro” nella piccola ma accogliente sala del teatro degli Emiliani a Genova Nervi, nel levante della città.
Indagine sul male declinato in “genere” affronta mono-tematicamente, dopo “Le cattive” della scorsa stagione che segue nella programmazione,

i cattivi del teatro shakespeariano articolando una favola scenica sul tenue, ma padroneggiato con abilità e sensibilità dal curatore Guido Davico Bonino, filo del sogno, assecondando così, tra l'altro, la lezione del bardo che proprio sul sogno ha drammaturgicamente costruito le sue più profonde ed essenziali analisi sulla natura dell'uomo.
John Cade, ribelle inconsistente e personaggio minore dell'Enrico VI, sta per morire di fame e, travolta dalle allucinazioni, la sua anima universale trasmigra, nel segno di una inevitabile maledizione, nel corpo dei più famosi personaggi oscuri di Shakesperare, da Riccardo III a Ulisse, da Angelo di “Misura per Misura” a Jago e Otello indissolubili, fino a Macbeth.
Se ne “Le cattive”, che nelle intenzioni dei drammaturghi di Lunaria confluirà e si amalgamerà con questo in un unico nuovo spettacolo, la perversione dei sentimenti assumeva in un certo senso caratteristiche difensive, tipicamente di genere, qui il segno dominante è il “potere” come modalità, anch'essa tipicamente di genere, di rivalsa e risoluzione identificativa ancora più cogente e inflessibile in presenza di limitazioni fisiche ed esistenziali. Il potere come recupero di una onnipotenza che il genere maschile sembra sognare e alla cui impossibilità finisce per sacrificare la propria essenziale autenticità.
Sarà interessante ed intrigante verificare l'efficacia della fusione dei due spettacoli, laddove in entrambi lo sfondo sembra costituirsi nella relazione tra maschile e femminile, incapace appunto di evolversi positivamente nella reciproca separatezza.
Tale relazione cresce e diventa sempre più evidente in questa drammaturgia fino ad esplodere, passando man mano per “Misura per misura” e soprattutto “Otello”, in Macbeth ove è sottinteso lo schermo che della sua Lady si fa l'incerto Macbeth per portare a termine il suo disegno ed insieme sgravarsi delle responsabilità sulla consorte, condotta alla pazzia e alla morte. Ed è una relazione allora irrisolta, ed ancora oggi forse irrisolta, la cui mancata risoluzione sembra la causa prima del fallimento finale e della morte dei protagonisti.
Una messa in scena costruita, talora fin troppo esplicitamente, sulla commistione dei linguaggi, dai toni efficacemente alternati su alto e basso, e dalle sintassi abilmente amalgamate, tra drammaturgia e musica, che riferisce, a mio avviso, della lezione sanguinetiana che invitava, nella riproposizione di Shakespeare, ricordiamo il suo Macbeth Remix con Andrea Liberovici, a non trascurare Verdi e il suo librettista Piave.
La regia di Daniela Ardini e Valeriano Gialli ne sottolinea l'attrazione onirica e allucinata, talora alleggerendola con l'ironia e la sovrapposizione di toni da cabaret, travolti infine dalla passione tragica del finale, cui l'interferenza del cantato verdiano conferisce potenza comunicativa e significante.
Protagonista in scena un bravo Valeriano Gialli, dalla predisposizione recitativa su toni ironici e talvolta comici ma efficace anche nelle riproposizioni tragiche. Accanto a lui nei due quadri finali, gli anche verdiani “Otello” e “Macbeth”, Paola Zara soprano dalla bella voce e dalla efficace presenza scenica.
Spettacolo già valido e, credo, in possibile positiva evoluzione, applaudito dal pubblico presente.
Prima stagione per così dire “stabile” della associazione “Lunaria Teatro” che sta tentando il recupero della agibilità e della sensibilità teatrale di una parte del territorio un po' dimenticato, il levante cittadino ed il primo Tigullio, ricchi di spazi teatrali ma poveri sinora di iniziative efficaci. È un tentativo difficile ma apprezzabile da sostenere e non solo da parte delle istituzioni cittadine.

Foto Filippo Maiani