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Nel corso di una serata evento, organizzata dal Teatro Stabile di Catania, in sinergia con il mensile “I Siciliani Giovani, il Centro di aggregazione popolare Gapa e la Fondazione “La città invisibile” di Catania, tre realtà molto attive nel quartiere periferico catanese di Librino, è stato proposto

nella sala del Teatro Angelo Musco di Catania il nuovo allestimento del monologo “Librino” di e con Luciano Bruno, occasione per puntare i riflettori sulle periferie degradate ed in mano alla malavita organizzata e soprattutto per dare voce alla pressante richiesta di cambiamento, di opportunità e di legalità della periferia dimenticata.
L’idea di riproporre il testo di Luciano Bruno che, ricordiamo, è stato segnalato dal critico Carmelo Alberti nel referendum del Premio UBU 2010, è nata per non dimenticare la vile aggressione subita lo scorso 10 gennaio dallo stesso autore-interprete, collaboratore de “I Siciliani Giovani” mentre effettuava un servizio fotografico nei pressi del “Palazzo di cemento”, edificio simbolo del degrado del quartiere Librino, roccaforte dell’illegalità, in cui vivono in settantamila privi di infrastrutture e decoro.
Dopo aver proposto per quattro anni il suo monologo di forte denuncia sociale nelle piazze della città e nei centri sociali, il determinato Luciano Bruno è approdato in una delle sale teatrali ufficiali della città di Catania, il “Musco”, ed emozionato, ma fortemente motivato, ha coinvolto e convinto il pubblico presente con la sua pièce che, in circa 50 minuti, raffigura le difficoltà, le problematiche, di chi nasce, cresce e vive in un quartiere periferico e degradato e soprattutto racconta di come un gruppo di ragazzini vengano privati di uno dei piaceri primari dell’adolescenza: la partita a pallone, per la mancanza di un luogo dove poter giocare.
Lo spettacolo inizia con il protagonista, Luciano, che in sala distribuisce delle patatine agli spettatori, un gesto semplice, di pura amicizia, come quella di un gruppo di ragazzini del quartiere Librino che, alla ricerca di un luogo dove poter giocare la loro partita di pallone, avranno in comune le loro vite. Il pubblico conosce così, oltre a Luciano, punto di riferimento per tutti, anche i suoi amici: Pirocchiu che non sa nuotare e combina sempre guai, il bassino Menzabirra, Funcia con il suo labbro sporgente, Tigna, già ad undici anni senza capelli, Grattacielo, Lucio Dalla, estimatore di “Attenti al lupo” e la bellissima Aurora.
Su una scena spoglia, essenziale, riempita dalla vitalità di Luciano che racconta e si racconta, troviamo una scala che rappresenta la collina da dove si osserva lo sterminato quartiere, un pallone da calcio e qualche palloncino colorato da scoppiare. Luciano narra, con ironia alternata a rabbia, le sue storie di vita vissuta, le avventure con quell’allegra brigata di amici, con un linguaggio semplice, che è quello popolare, di quartiere. Protagonisti sono dei ragazzini di undici anni in cerca di un campetto per giocare a pallone, realtà di allora ma anche di oggi. Ma questo naturale, normale, desiderio di trovare un angolo tranquillo dove organizzare, in piccolo, un campionato mondiale, si trasforma in una continua lotta che li vede contrapposti al signor Budda, che dovendosi alzare alle tre del mattino rimprovera i ragazzi per il rumore del pallone contro il portone o al signor Luccini, che, per qualche vetro rotto schiaffeggia Luciano. Quei ragazzini, tra desideri e marachelle, vedono il loro quartiere, Librino, come un luogo bellissimo, ricco di arance dolci come lo zucchero, di mele della montagna, di pesche vellutate, di noci saporite e croccanti. Un quartiere che a quel tempo ha tutto, anche l’acqua.
Poi la vita di questi ragazzini viene destabilizzata dall’arrivo di un architetto giapponese, Kenzo Tange, che salito sulla collina e guardato dall’alto Librino progetta una città satellite. A questo punto Luciano Bruno, con lucida ed amara ironia, racconta con dovizia di particolari le tappe di questa trasformazione che ha poi portato il quartiere al degrado in quanto i dettami iniziali del progetto dell’architetto giapponese non sono stati rispettati, non si è tenuto conto della costruzione di dieci quartieri, dei passaggi pedonali, di una centrale di Polizia, del teatro. Non si è pensato, soprattutto, alle infrastrutture, si sono costruiti solo enormi palazzoni e, come spesso accade in questi casi, alcuni imprenditori catanesi del tempo si sono approfittati della situazione, trasformando Librino da “Città Satellite”, com’era l’intenzione di Kenzo Tange, in una zona a rischio, luogo ideale per smerciare droga, nascondere armi e abbandonare la gente più disagiata.
Luciano Bruno racconta, quindi, com’era lui, com’erano i suoi amici un tempo, ma soprattutto com’era e come è diventato oggi il loro quartiere.  Un monologo aspro, duro, a tratti divertente per un linguaggio spontaneo, ma anche commovente, poetico per i sentimenti, i pensieri, di Luciano e di quegli adolescenti ai quali è stato strappato, all’improvviso, un sogno. Il tempo, infatti, è passato, così come la gioventù di Luciano e dei suoi amici. Qualcuno adesso non c’è più, c’è chi ha preso strade sbagliate, chi è emigrato al Nord, chi vive altrove e si è fatto una famiglia. Quel sogno della partita, di inseguire, su un campo, il pallone, è svanito, mentre altri innalzando palazzi, hanno innescato il gioco droga-armi-soldi ed il quartiere di quei ragazzi col sogno della partita è diventato un luogo senza speranza, dove regna l’illegalità.
Nella pièce il protagonista coinvolge il pubblico che lo applaude durante e soprattutto alla fine, per una storia estremamente cruda e reale e per la sua capacità attraverso un linguaggio del corpo esasperato, frenetico, di entrare e di uscire da più personaggi: il bambino, la zia, l’architetto giapponese, l’ingegnere ed il politico catanese, la madre, l’innamorata Aurora, i compagni di giochi rubati.
E lo spettacolo si chiude con l’amara e commossa denuncia di Luciano Bruno, che induce a profonde riflessioni: “Alla fine quell’anno non potemmo giocare nemmeno una partita, ne potremmo farla adesso perchè ciascuno dei miei amici ha preso la sua strada, ma soprattutto perchè tutto quello che è successo (Kenzo Tange, la vecchia Dc, la mafia) l’ho pianto io sulla mia pelle e così tutti quelli come me”
“Librino” è uno spettacolo teatrale autentico e, nel nuovo allestimento, con la scorrevole regia di Orazio Condorelli, l’azzeccato gioco luci di Domenico Guglielmino, la colonna sonora anni Ottanta (da Ramazzotti ai Duran Duran) sollecita le coscienze sociali degli spettatori, commuove e, come lezione di storia contemporanea, dovrebbe essere proposto nelle scuole dei quartieri periferici dove si concentrano mille problemi e mille soprusi che, spesso, chi vive nel comodo e scintillante Centro storico della città non vuole sentire.
La serata dello spettacolo è stata arricchita, all’inizio, dall’esibizione dei giovanissimi  strumentisti (tra i 6 ed i 17 anni) dei quartieri a rischio dell’Orchestra sinfonica infantile “Falcone Borsellino”, organizzata da Alfia Milazzo e guidata per l’occasione dal maestro Manuel Frias.

Foto di Maurizio Parisi

“Librino”
di Luciano Bruno
con Luciano Bruno
Drammaturgia di Giuseppe Scatà
Regia di Orazio Condorelli
Luci di Domenico Guglielmino
Foto di Maurizio Parisi
Produzione Centro Gapa Catania, mensile “I Siciliani Giovani”, Fondazione “La città invisibile”
Teatro Angelo Musco di Catania - 29 Maggio 2014