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“Per soli uomini”, per uomini soli, che non conoscono il significato della parola, insieme, che hanno una visione povera e limitata dell’altro sesso che fanno l’amore con se stessi, che vivono di pornografia. Due uomini si mettono a nudo per narrare una realtà lacunosa. Tutto questo nella lucida e spietata analisi di Massimo Sgorbani che attraverso la visione teatrale di Giovanni Battaglia (impegnato anche in scena, insieme a Alessandro Castellucci) racconta la storia di Luca e Guido, vittime di ossessioni e nevrosi, avviliti dall’abuso quotidiano di «immagini pornografiche, in un'epoca in cui è l’immagine a essere oggetto massimo del desiderio, e il corpo a essere suo pallido riflesso». Le donne nei loro discorsi esistono solo in quanto oggetti, quei piccoli uomini fragili, in mutande, sul palcoscenico del Teatro Libero, non sono in grado di amare realmente e mascherano dietro una sorta di convivialità triviale, il loro odio per l’altro sesso. Il finale riserva una sorpresa che in realtà è in linea con la psicologia dei personaggi. Non poteva che andare così. Massimo Sgorbani, autore teatrale pluripremiato, riversa tutta la sua creatività nel teatro, scrive soprattutto per la scena, sa narrare in modo spietato, gli incubi quotidiani. La voce scenica di Sgorbani vive nel teatro, un vero drammaturgo, figura specialistica, che nel nostro panorama letterario forse sta scomparendo. Scrivere per il teatro è una scelta precisa, l’autore teatrale deve saper ecclissarsi dietro i personaggi, deve saper rinunciare al proprio egocentrismo, al punto di vista dominante, deve vivere di empatia, sviluppare una vicenda attraverso le azioni e le voci degli altri. La scrittura scenica ha quindi caratteristiche proprie, regole precise che la rendono unica. Ma il mondo intorno sembra ignorarla. Come ignora la poesia, del resto. Perché i giornali non recensiscono i testi teatrali di autori contemporanei? Perché le librerie non li espongono? Perché gli editori non li pubblicano? Perché i critici di letteratura non ne parlano? Perché i teatri non li producono? Perché i registi non li scelgono? E’ forse inutile? La scrittura scenica di Sgorbani non lo è. Materializza gli incubi delle nostre società con un disegno linguistico che passa dalla pornografia al bisogno di poesia, l’unico modo per sfuggire al dominio dei corpi abusati. La regia affida le sfumature del testo, l’ambivalenza dei personaggi, a cubi trasparenti, “specchi delle brame” dove la verità viene a galla in tutta la sua meschinità. L’azione scenica è semplificata al massimo, anche se in alcuni momenti tende a essere ripetitiva, annullando la verità del corpo ferito, esposto. L’effetto è quello di una stratificazione, sequenze sceniche che si sovrappongono al testo, facendo perdere spessore alla rappresentazione. Gli attori interpretano bene gli umori dei personaggi, raccontano con gestualità minima una realtà misera, fingono di avere abiti, fingono di mangiare, fingono di vivere. E dietro tutto questo, ancora una volta, una violenza, un femminicidio, compiuto senza scrupoli, fra tranquille pareti domestiche.

Milano, Teatro Libero, 14 Maggio 2014