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Parto da un libro del grande saggio Alejandro Jodorowsky, “Cabaret mistico” (Feltrinelli, Milano 2008), per proporre ai nostri lettori qualche riflessione. Sappiamo che Jodorowsky, cileno di nascita, approdato poi in Francia, è attore, regista anche di cinema, psicagogo, guaritore, filosofo dei tarocchi, narratore, saggista; insomma una poliedrica e ricchissima personalità, nella quale s’incrociano antichi saperi e coordinate spazioculturali a 360 gradi, da Occidente a Oriente, “tra” Occidente e Oriente. In tempo natalizio vorrei, cari lettori, che leggeste questo libro, che è come un variopinto e vivido albero di Natale, su i rami del quale voglio appendere qualche mia pallina, cioè qualche pensiero scaturito dalla sua lettura, forse utile per l’arte del vivere e per l’arte del teatro.
E’ il mio regalino di Natale 2009 per voi, spero che sia di vostro gradimento. Ma voglio qui ricordare anche un brevissimo fulminante passo tratto da un altro meno recente libro, quello di Cesare Garboli (“Un po’ prima del piombo”, Sansoni, Firenze 1998), quando afferma: “Sopportiamo la rivelazione di esistere solo a intervalli, in rari, misteriosi momenti. Il teatro è uno di questi momenti.”. “Rivelazione di esistere”, “misteriosi momenti”, “mistico”, sono parole impegnative, me ne rendo conto, al contempo riferite alla vita e al teatro (e a una forma apparentemente minore come “cabaret”)!
Sono parole proferite e scritte da un uomo di spettacolo in prima persona, come Jodorowsky, e da un intellettuale, saggista, e “spettatore critico” di teatro, come Garboli. Qual è il punto di congiunzione tra le parole dell’uno e quelle dell’altro? Direi che sia in un intendere la vita e il suo ri-petersi, ri-farsi in forma d’arte, nella fattispecie teatrale, come (si direbbe in lingua inglese), AWARENESS, vocabolo poco traducibile in lingua italiana, ma che, grosso modo, vuol dire piena autoconsapevolezza, piena intuizione di noi stessi, nel nostro più profondo io, che è un “sè”, che è autorealizzazione piena della PERSONA, in corpo anima e spirito, secondo un’antichissima e mai tramontabile antropologia che è alla base di ogni saggezza, fede religiosa, sapere tramandato.
L’awareness, la si raggiunge, afferma Jodorowsky, quando il nostro Ego sa aprirsi e scoprire le sue ulteriori dimensioni, dall’io corporale, a quello superiore, a quello essenziale, giungendo a quella scintilla (o fuoco) divini che coviamo nella più profonda interiorità. Lo so, mi direte che non è facile tracciare fino in fondo questo percorso, nel nostro vivere, ma io credo che il teatro possa essere una fondamentale palestra in cui tentare questa iniziazione e la sua conseguente “illuminazione”, a partire dall’attore, che, se ben convinto, convincerà e avvincerà anche lo spettatore motivato (il Garboli che può essere in ciascuno di noi quando si è spettatori). La stessa parola “mistico” sarà l’aggettivo che denota uno stato di pienezza di Vita, quando ci si illumina tramite l’esperienza di un cammino che attraversa le varie dimensioni dell’Io, e si giunge a trascendere l’io per toccare la verità, la libertà, l’amore autentico, che sono gli stati d’essere che spaccano catene, condizionamenti (anche i più pesanti, quelli del contesto familistico, sociale, politico), pregiudizi, egoismi, e che permettono di arricchire la propria e l’altrui vita.

Vita e teatro, dunque, e “teatro che non è non vita, e non è non arte”, doppie negazioni sostenute in modo illuminante da Ferdinando Taviani: da questo rapporto, voglio mettere in luce qualche mia convinzione che ha poco di originale ma molto, spero, di originario, per un’arte che trova le sue ragioni d’oggi nei fondamenti di “ieri”; convinzioni da mettere in forma in una breve serie di “sutra”, di anelli, di un’ideale corona floreale di cui vorrei che tutti noi potessimo cingerci il capo. Per cui…

… è vivo un teatro in cui viene superato ogni dualismo, a partire da quello attore-spettatore; il teatro è un “fra”, il teatro è “a-dualista” e al contempo a-monista: né uno solo, né due separati;

… è vivo un teatro in cui si muoia e si rinasca ogni attimo, nel succedersi delle parole agite e delle azioni parlate, finché l’Azione non resterà che nella memoria dello spettatore;

… è vivo un teatro che sa rimanere nella memoria dello spettatore, quindi sa risorgere, e farsi anello di una infinta successione di esperienze, impedendo a tale successione di interrompersi…

… è vivo un teatro in cui gli attori esprimono e vivono un’autoconsapevolezza fisica, psicologica, spirituale, che li porta ad essere del tutto fuori dalla quotidianità e dalla ferialità del vivere quotidiano;

… è vivo un teatro in cui gli spettatori, a loro volta, si aspettano di essere illuminati da un evento scenico che li porti fuori dal proprio ego limitato, in modo da poter “sopportare”, portare su, in alto, un lampo rivelatore della Vita;

… è vivo un teatro quando in esso più che rappresentare si “presenta”, perché intimamente esperito dagli autori (drammaturghi, attori, registi, ecc.), il senso della libertà umana, della verità (sempre da ricercare nel mistero dell’intreccio di molteplici esistenze), dell’autenticità;

… è vivo un teatro quando, al di là di scelte di poetica, di genere, di stile, si celebra in “praesentia” una liturgia (=lavoro del popolo) laica alla quale partecipano tutte “personae” vive, in carne ed ossa, in pensiero, in emozioni, in fiati, in urla, in battimani, in fischi, in sudore, in lagrime, in pugni sullo stomaco, in applausi, e soprattutto quando azioni-reazioni corrispondono in un misterioso flusso di consonanze e armonie, o di creative dissonanze e disarmonie;

… infine è vivo il teatro quando ogni partecipante è consapevole di aver vissuto un momento di eccezionale densità emotiva, intellettiva, spirituale, un momento in cui la Vita si “spensiera”, liberandosi da ogni de-finizione imposta, da ogni gabbia razionale, liberando pensieri e sentimenti per toccare la purissima nudità del nostro essere.

Vi auguro un buon Natale teatrale, mi auguro che il teatro possa ancora ri-nascere, almeno una volta all’anno!