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Al “Ravenna Festival” 2014 in uno dei luoghi più affascinanti del mondo, la Basilica di Sant'Apollinare Nuovo tra mosaici che sembrano fuggire verso l'eternità dell'abside, il Teatro delle Albe ha riproposto il 6 e 7 giugno questa rara Lettura Concerto di Ermanna Montanari per la regia di Marco Martinelli ed il canto, asincronicamente modulato, di Michela Marangoni e Laura Redaelli.
“Sinossi in quattro movimenti” nella quale Ermanna Montanari e Marco Martinelli assorbono, assemblandoli con coerenza drammatica, tre articoli, le famose “terza pagina”, di Giovanni Testori dal Corriere della Sera dei primi anni ottanta, oltre ad una serie di suggestioni da stralci di altre interviste.
Testi giornalistici dunque, e non drammaturgici ma è come se fossero tali, sia per la forza della scrittura testoriana, che con il teatro ha intrigato e combattuto per molto tempo e con esiti talora corruschi, sia per la qualità della tessitura che i drammaturghi e il regista stendono sui testi stessi riarticolandoli organicamente e così recuperandoli ad una malcelata funzione scenicamente dialogica.
Testori, innanzitutto, uomo ed artista coerentemente contraddittorio, tradizionalista e scandaloso ora quasi dimenticato, affascinato dal concetto, ma per un cristiano come lui questo termine sarebbe quasi una bestemmia, meglio dal miracolo della incarnazione, vissuta non come sublimazione della carne, quindi del peccato e del male del mondo e degli uomini, ma come sua assunzione in quanto tale, anche con il male ed il peccato, verso la resurrezione come segno di una unità ingiustificabile perché oltre e fuori la logica e realizzabile solo con l'atto della fede.
Uomo di una religiosità profonda, dagli empiti agostiniani, scruta con quegli occhi liberi da compromessi il male e dunque l'uomo, non nascondendosi nell'arte ma facendo di questa uno strumento quasi chirurgico, come forse prima di lui solo Pier Paolo Pasolini ha saputo fare.
Un essere dentro e contro, e credo che Marco ed Ermanna ne siano o ne siano diventati profondamente consapevoli, che risulta ancor più enfatizzato dall'oggetto di quelle scritture, e di molte delle scritture anche teatrali di Testori, la prevaricazione sul femminile, attraverso prima la sua umiliazione, come percezione e funzione, e poi ineluttabilmente con la violenza fino alla tragica e sanguinante soppressione fisica.
Contraddizione nella contraddizione, quegli scritti, nelle loro analisi concettuali e simboliche, sembrano guardare alla violenza sulla donna quasi con gli occhi rivolti al passato di una tradizione che privilegia la maternità come funzione fondante del femminile articolata attorno alla famiglia, quasi a superare la modernità con la nostalgia di una visione religiosa che la modernità borghese avrebbe disarticolato, a danno sia dell'uomo che della donna, per privilegiare una visione astrattamente individualistica delle funzioni sociali che produce diseguaglianze e prevaricazioni anziché libertà.
Ma la forza della sua arte, quasi senza adesione consapevole, travolge questa stessa sua impostazione “tradizionalista” per ricostruire attorno ad essa una speranza ed una visione profetica e illuminante.
Così, di fronte alla violenza del mondo attuale di cui il femminile offeso è paradigma, riesce a recuperare una speranza di resurrezione nella passione e con l'amore, condivisi non tanto spiritualmente ma nella carne e nel sangue della sua scrittura, come sono stati percepiti e condivisi nella carne e nel sangue della sua esistenza.
Ermanna Montanari, con la sua voce calda e aspramente ricamata, è forse una delle poche attrici in grado di replicare, o meglio sovrapporsi e mescolarsi, nella sua stessa carne e nel suo stesso sangue, a questa condivisione del dolore femminile che non è solo delle donne che lo portano ma anche degli uomini che lo provocano.
Si alternano così nelle tonalità intense della lettura che trasla in drammaturgia, in cui le pagine scritte si perdono e le parole rivivono nella sua presenza quasi sovra-esposta, il sangue della madre uccisa e la sofferenza del figlio assassino, la speranza del mondo che si annulla nella morte di una bambina sotto gli occhi della giovane madre e la disperata vita dell'assassino, ed infine l'angoscia dello stupratore comunque soverchiato dal dolore della donna violentata.
Il canto tenue di Michela e Laura offre talora riposo e balsamo, quasi rallentando ma mai recidendo il difficile percorso che Ermanna affronta.
Ci siamo sentiti tutti, io credo, sospesi di fronte a quello sguardo impietoso e all'oggetto di quello sguardo, quasi perduto ma ancora dolente, al fondo della nostra intimità che è specchio dell'intimità del mondo, perché non vi è scrittore che come Testori, e forse proprio grazie alla fede che lui possedeva, sia riuscito a ricollegare l'individuo perso in una contemporaneità schiava della contingenza ad un mondo che ha ancora il sapore dell'eterno.
È anche, questa, una occasione credo importante per recuperare una visione del problema della violenza sulle donne che superi i veri o presunti psicologismi, così poco amati da Testori, con una assunzione di responsabilità in direzione di un cambiamento profondo che sia, anche attraverso l'arte, soprattutto e intimamente culturale per diventare, poi, anche sociologico e legislativo.
Spettacolo complesso che più di altri ha bisogno di un luogo coerentemente accogliente e che per questo meno di altri ha occasioni per essere visto. Ieri è stata una di queste rare occasioni che però si ripeterà al Festival delle Colline Torinesi il 12 e il 13 giugno nella chiesa dei Battù a Pecetto Torinese.