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Prima di entrare in sala mi consegnano un originale foglio in A3: da un lato immagini più o meno angoscianti degli anni ’60, da un altro note al testo di Antonio Caronia (sceneggiatore critico interprete di Ballard). Una guida precisa, per comprendere meglio l’opera teatrale, il lavoro svolto dal drammaturg per portare Ballard a teatro. Sono molto grata a chi abbia avuto questa idea, avrei compreso ben poco. Fare teatro vuol dire anche questo, produrre momenti di comprensione ulteriore, ciò che non avviene in scena, avviene prima e dopo. Il teatro è un fenomeno integralmente significante, dove tutto è segno. Tutto rinvia sempre ad altro ciò che si è svolto prima, ciò che si può imparare dopo. Lo spettacolo teatrale è sempre un testo completo ricco, di una molteplicità di segni (in questo caso anche una ricca partitura musicale) che permette di comprendere i molteplici segni scenici. Cosa vuole dire quel regista? Quale percorso ha svolto quella compagnia? Il teatro è qualcosa di più di una semplice rappresentazione, in un dato temporale, è la testimonianza di un gruppo di persone (drammaturgo regista, attori, scenografi, tecnici e in questo caso anche musicisti) che interpretano il presente. In questo caso una compagnia di ricerca teatrale: “Phoebe Zeitgeist” un gruppo di arte contemporanea che permette di discutere il teatro laddove siano presenti molteplici codici di interpretazione del mondo. «La specifica di questo gruppo di lavoro è la lettura critica della contemporaneità. Da qui la scelta di costruire il proprio pensiero a ridosso di quanti più linguaggi disponibili, nella convinzione che le arti siano dei dispositivi eccellenti per una decodifica non banale della realtà. Questa indagine viene condotta attraverso l’individuazione dei fattori più gravi e acuti dei nostri giorni, rintracciando nei testi degli artisti che ci hanno preceduto quegli allarmi, quelle denunce, quelle visoni che informano i meccanismi del nostro tempo. I temi di più elevata emergenza e di più alta rilevanza sviluppati da questo gruppo di lavoro sono: la complessità dei sistemi di comunicazione e di relazione tra gli individui, le capacità dell’immaginario e del linguaggio, l’esistenza, la persistenza e la trasformazione di tutte le forme di potere». La compagnia dopo diverse esperienze nei linguaggi contemporanei affronta un’opera complessa. Un testo teatrale ispirato ai romanzi di Ballard, già autore molto discusso dalla critica contemporanea. Fantascienza, sociologia, romanzo, saggio, poesia, revisione critica della contemporaneità, che cosa ci ha donato l’opera di Ballard? Che cosa può dire un drammaturgo, un regista, un attore su quest’autore? E in particolare su una sua opera: “Atrocity Exhibition”,  testo che va letto e riletto perché è uno dei documenti più licidi e intensi della post-modernità. L'opera che ha consacrato Ballard autore di culto, formidabile visionario, profeta dei destini del mondo. Un’opera complessa che fonde la forma del romanzo, le cadenze del saggio e un apparato di note ricco come un romanzo nel romanzo, come una lucida analisi delle immagini, dei fantasmi, della contemporaneità. Oserei dire, tuttavia, una ridotta espressione della contemporaneità, poiché in ogni caso si parla sempre e comunque di divi, dive, politici, uomini di potere, mai di operai e operaie, gente comune, gente che lotta per sopravvivere...Protagonista un uomo dal carattere sfaccettato e dai molti nomi (Travis, Talbot, Traven, Tallis, Talbert, Travers), e intorno (o dentro di lui?) un universo stravolto e artificiale: celebrità anatomizzate, fantasie oniriche e libere associazioni, crudeltà e pornografia, civiltà e inferno. «Qual è il reale significato della morte di Marilyn Monroe o dell'assassinio di Kennedy? Come agiscono su di noi a livello neurale, a livello dell'inconscio? Questi eventi dei media, il suicidio della Monroe, l'assassinio di Kennedy, l'elezione di Reagan (riportata nel libro quindici anni prima dell'evento reale) hanno qualche significato nascosto nella nostra mente, influenzano la nostra immaginazione secondo modalità impreviste?» (J.G. Ballard) Sono in realtà tante visioni, o forse allucinazioni, del nostro mondo fatto di immagini, attraversamenti, illuminazioni, densità di immagini (o simulacri) che televisione, radio, giornali interpretano a loro volta ogni  giorno. Illuminazioni animate da un’intelligenza acuta, tagliente e da un’ironia sfaccettata che non perdona, da una curiosa forma di plurilinguismo mediatico. Folgorazioni che vanno lette un po’ alla volta, senza fretta, analizzando ogni frase. Nostri dolori quotidiani. Sembra di viaggiare all’interno di un’allucinazione incomprensibile: uomini che si chiamano prima in un modo e poi in un altro, azioni che vengono svolte e che poi si interrompono o vengono immediatamente negate, non esiste il concetto temporale della storia, se di storia si tratta né di dimensione. “Note di un collasso mentale” è anche una partitura che si sviluppa in diretta, per chitarra classica e moderna, (meglio quella classica, quella moderna sembra un po’ artefatta) cercando di interpretare i pensieri di un autore un po’ misterioso, Ballard, che cerca di interpretare questo nostro presente così afflitto da un corpo fin troppo presente. L’ossessione del presente? Il corpo, il sesso senza affettività, catastrofiche psichiche, interruzioni neuroniche, l’eredità degli anni ’60, la liberalizzazione sessuale, la morte degli affetti, il sesso come perversione, l’organismo umano, mostra di atrocità di cui egli stesso è involontario spettatore. ma tutto questo l’aveva già affermato già con vigore un nostro poeta, contemporaneo forse ancora prima di Ballard, Zanzotto in  Live: «Sangue e pus, e dovunque le superflue/superfluenti vitalbe che parassitano gli occhi/un teleschermo, fuori tempo massimo: Dirette erutta e Balocchi» La poesia è molto più chiara. La regia di Giuseppe Isgrò, sembra mettere in scena questi versi, utilizzando i canoni tipici della post-avanguardia, disegna una realtà ossessiva. Da Carmelo Bene a Leo De Bererdinis, vengono riprese tutte le lezioni possibili, unica differenza sostanziale il lavoro sui classici, lì si scomponeva una realtà classica istituzionalizzata, qui si lavora su una realtà già scomposta, destrutturata. La difficoltà è tutta qua, ritrovarsi alla fina nel nulla. La metareciratazione di Andrea Barettoni (voce, organetto), e   Francesca Frigoli, molto più espressiva e corporea (voce, flauto traverso), crea una finta recitazione sulla scena, un teatro sul teatro, il prevalere di un istinto caricaturale satirico, nei confronti di una realtà liquida, o liquidata in breve, dove il corpo diviene solo un oggetto, polo magnetico, polo fisiologico, catalizzatore di frammenti identitari collettivi, senza più valori. Tutto in pochi minuti. Il nostro presente devastato. Performance ad opera di una compagnia che lavora da anni su percorsi di ricerca. In questo caso il ruolo del critico è quello di lavorare come uno storico, come un interprete del segni teatrali e dei segni sociali, dei problemi che ruotano intorno a una rappresentazione del mondo un’idea, una visione più o meno condivisibile, base indispensabile da cui partire, concezione approccio contestuale. Una poetica della vita. E in questo caso una vita povera di valori, vissuta all’insegna di segni indecifrabili, di corpi devastati è questo ci hanno regalato gli anni ‘60? Forse qualcosa di più. E la bellezza dove l’abbiamo lasciata, su quale spiaggia abbandonata? Bisogna molto pazientare, aprire gli occhi e cercare, senza bisogno di andare tanto lontano, bisogna solo saper vedere, saper aspettare: “Viviamo solo per scoprire nuova bellezza. Tutto il resto è una forma di attesa.” Kahlil Gibran
Milano,  Teatro Out Off ,  8 Giugno 2014