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Due sorelle, due vite diverse, due scelte opposte. L’una resta, l’altra parte, l’una si lascia corrodere dalla storia, l’altra spicca il volo verso la libertà. Il secondo appuntamento con la rassegna di Nuova Drammaturgia Contemporanea (proposta dal Teatro Stabile di Genova) al Teatro Elfo Puccini di Milano (corso Buenos Aires, 33 fino al 14 giugno 2014) è con “Sempre insieme”, un testo scritto dalla rumena Anca Visdei (traduzione di Mariellla Fenoglio), in cui è rappresentata tutta la drammaticità della storia personale dell’autrice e di molte donne vissute durante il regime di Ceasuscu.
Una sorella ama scrivere copioni teatrali, ma la censura le impedisce di pubblicarli. L’altra galleggia in un sistema fluido e dittatoriale, assiste ai non-sense imperanti, si indigna ma tollera. L’una resta a Bucarest, l’altra fugge in Svizzera e chiede lo status di rifugiata: non potrà mai più tornare in patria né rivedere la sorella. Le telefonate sono appassionate, le lettere sono attese con trepidazione, ma ad un certo punto qualcosa si incrina. La fiducia viene meno quando una sorella si fidanza con l’ex dell’altra, un gerarca del partito di Ceasuscu.
Un lungo silenzio cala come un velo, il rapporto tra le due donne giunge ad una svolta. Fino alla caduta del dittatore, quando potranno inaspettatamente ricongiungersi.
Due storie parallele e speculari, in realtà una sola storia. L’autrice ci racconta la sua vicenda personale, lei che ha realmente abbandonato la Romania per la Svizzera durante la dittatura, ma pare raccontarci anche cosa sarebbe stato di lei, della sua anima e della sua dignità, se non avesse compiuto quella scelta. L’alter ego diventa la storia di un destino che non si è mai compiuto, le due sorelle sono l’esito di due scelte, entrambe dolorose ma entrambe appartenenti alla medesima umanità.
Barbara Alesse e Irene Villa, nel ruolo delle due sorelle, conferiscono allo spettacolo un ritmo alternato, dall’ilarità sopra le righe (troppo?) degli inizi, ai passaggi melanconici dell’esilio svizzero fino al pathos vero del ricongiungimento conclusivo. La regia di Matteo Alfonso sceglie la via dell’essenzialità, con oggetti simbolo della dimensione di vicinanza interiore delle due sorelle nonostante la distanza, come i cubi in cui partono e arrivano le lettere. Si crea un marcato contrasto tra spazi e tempi, età e maturazioni interiori. L’epopea del viaggio in esilio perde la carica epica consacrata dalla lunga tradizione di genere, a favore di un taglio più intimistico, introspettivo.
La vita diventa trasformazione, via per la consapevolezza. Nessun scelta è per sempre, nessuna scelta è salvezza né dannazione, ma ogni scelta apre vie di ricongiungimento e comprensione del senso del destino.

foto P.Lanna