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C’è una particolare condizione dell’umanità che si presenta quando le parole sembrano esaurire la loro potenzialità comunicativa, quando si ha la netta percezione che esse non solo non comunichino più, ma anche che altro non riescano ad esprimere se non menzogna. È una percezione evidentissima certo in questi ultimi nostri, ma è una costante della storia umana: nell’ottavo paragrafo del libro primo dell’Ecclesiaste biblico (III secolo a.C.) si legge: «tutte le parole si esauriscono e nessuno è in grado di esprimersi a fondo». Ecco, l’esaurirsi del linguaggio nei discorsi pubblici, la sua impotenza, il suo ribaltarsi in menzogna autoritaria, è il tema di un progetto (sei spettacoli e sei radiodrammi) che l’ensemble ravennate “Fanny & Alexander” sta sviluppando già dal 2011 e del quale, sabato 21 giugno scorso, a Gibellina (Palazzo Di Lorenzo) si sono visti due pezzi: “Discorso Grigio” e “Discorso Giallo”. È chiaro che per quanto si tratti di un fenomeno che è antichissimo e che tende a ripetersi nella storia umana, appare felicemente necessario il taglio politico di questi spettacoli. “Discorso grigio” (regia di Luigi De Angelis, in scena Marco Cavalcoli) è materialmente un collage di discorsi politici italiani tratti da un repertorio che attraversa l’intero novecento, concentrando il suo fuoco ovviamente sugli ultimi vent’anni: dalle perfomance televisivo-oratorie di Berlusconi, ovviamente (è forse con lui, infatti, che per la prima volta forse il re dell’ oratoria politica nazionale appare nudo), a quelle di Bersani e Renzi, di Napolitano e di La Russa, dai discorsi di Mario Monti ai comizi di Grillo. Frammenti di oratoria politica che, staccandosi dalla realtà (persino suo malgrado ed è questo l’interrogativo più inquietante e politico che solleva lo spettacolo), attraversa il personaggio di un misterioso presidente che parla al popolo e invade, avvelenandolo, il corpo dell’attore fin quasi a possederlo e ammalarlo. Un’oratoria che si compiace narcisisticamente del proprio potere, che inganna e rende friabile la memoria e, al contempo, si svuota di senso fino a rendere nevrosi autoritaria e pura pornografia le parole (ottimismo, crescita, progresso, moralità, servizio, cultura, pulizia, movimento, velocità, efficienza) che la compongono. Pornografia, poco altro. Nel “Discorso Giallo” (regia ancora di De Angelis, drammaturgia e interpretazione di Chiara Lagani) il progetto di “Fanny & Alexander” si volge ad esplorare il potere “educativo” e/o seduttivo della televisione, del linguaggio televisivo italiano nella sua evoluzione: dall’educata ingenuità del maestro Manzi che, col suo storico programma “Non è mai troppo tardi”, insegnava a leggere e a scrivere al gran numero di analfabeti che erano ancora presenti nel nostro paese nei giorni del secondo dopoguerra, all’ autoritaria pedagogia di Sandra Milo, col suo colorato “Piccoli Fans”, fino alle maniere spicce, ma non per questo meno seduttive, di Maria De Filippi col suo “Amici”: verde sei preso, rosso eliminato, giallo resti ancora a competere. Il punto di vista è mobile: la Lagani incarna, con la straordinaria sensibilità interpretativa che tutti le riconoscono, ora gli adulti che impongono questa retorica avvelenata, ora le bambine che la subiscono e l’assimilano come “normale”. La TV è stata insomma, ed è tuttora purtroppo, cattiva maestra degli italiani, e la sua originaria vocazione pedagogica si è perduta deteriorandosi in propaganda e omologandosi alla comunicazione del potere di turno: in questo senso è straordinario il confronto grottesco tra i fantasmi dialoganti di Maria Montessori (fautrice, val la pena di ricordarlo, di un metodo pedagogico basato sulla valorizzazione della libertà, della creatività e dell’autodisciplina dei bambini) e, niente di meno, Maria De Filippi. Ecco il discorso “giallo” è il discorso di una retorica invasiva che non ha affatto educato gli italiani, non li ha liberati ma li ha sedotti e svuotati di senso critico e quindi bloccati in un’eterna e sgomitante competizione tra consumatori.
Un’ultima notazione di contesto: “Orestiadi nel segno del contemporaneo, 2014” è un importante festival che sta svolgendosi a Gibellina, coprendo tutto giugno e parte di luglio, grazie ad un finanziamento europeo che la Fondazione Orestiadi e il direttore artistico Claudio Collovà hanno saputo acquisire, esso affianca le tradizionali Orestiadi finanziate dalla Regione Sicilia e il cui svolgimento è ancora oggi totalmente in forse così come in forse è la sopravvivenza stessa della Fondazione. Ovviamente si tratta di un patrimonio e di un’utopia d’arte e di cultura che è semplicemente folle far naufragare ma il cui previsto naufragio rende ancor più violente e “pornografiche” le parole di chi al potere in Sicilia continua a parlare della cultura come volano del nuovo sviluppo dell’Isola.