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Gli ultimi spettacoli a cui ho partecipato da spettatore, nei teatri della mia città, Roma, che qui non conta citare, e la recentissima lettura del libro-pamphlet di Giulio Ferroni, Scritture a perdere (edito da Laterza, Roma-Bari 2010), mi hanno fortemente impressionato per vari motivi, sommovendo il mio immaginario oltreché la riflessione critica, e provocandomi il desiderio di una personale presa di posizione sul come vanno le cose nel nostro Paese, sul come si vive la cultura teatrale, la prassi scenica, la scrittura letteraria e drammaturgica, sui modi coi quali ci si misura con la committenza (produttori, autoproduttori, case editrici, funzionari, garanti, si fa per dire, delle sovvenzioni pubbliche), e infine sul rapporto coi pubblici degli spettatori e dei lettori.
Certo è che, come suggerisce Ferroni, sarebbe assolutamente necessaria una sorta di “ecologia della comunicazione”, e assieme una “ecologia della mente”, per tendere all'essenziale, rompere l'assedio di un opprimente invasivo mercato dei prodotti artistici, spazzar via la montagna di scarti, di “scritture a perdere”, e aggiungo di “spettacoli a perdere”, di proposte pre-confezionate, costruite per un livellato consumo di massa, che tutto omologa. Ma non è assolutamente facile. E al proposito devo dire che lo sforzo di elaborare una mia presa di posizione non ha trovato ancora dei punti focali, dei poli di riferimento così sicuri e così dimostrabili, il che mi ha provocato momenti di inquietudine difficile da sciogliere, anche perché sospetto che l'inanità dipenda da me stesso. Da qui, da tale interiore impalpabile ansietà, credo che la mia psiche si sia rifugiata oniricamente in un flusso di immagini che son riuscito a catturare, nella vita cosciente, svegliandomi, una mattina di pochi giorni fa, in un breve racconto che qui vi presento: non ho una trama ben precisa, non posso determinare tempi e spazi con precisione assoluta, non posso nemmeno focalizzare realisticamente persone e personaggi, la logica del sogno sfuggendo a parametri misurabili e razionalizzabili; non voglio nemmeno chiamare in causa i meccanismi freudiani dell'interpretazione (condensazione e spostamento; paura e desiderio; istinto di morte pulsioni di vita, ecc. ecc.), per cui mi limito ad offrire al lettore quanto la mia mente è riuscita a rielaborare, in forma di racconto, il racconto di “un sogno teatrale”, non organicamente composto, procedendo per accumulo, impressionisticamente, per lampi di immagini: il lettore, se ne resterà coinvolto, cerchi lui stesso dei significati, forse li troverà, forse no.

<< Sulla scena due tagli di luce che l'attraversavano tutta, e al centro una specie di letto coperto da bianche e luminescenti lenzuola immacolate... sento in sottofondo un soave coro infantile: “Giro giro tondo, / il mondo è un po' rotondo / poi il mondo è un po' quadrato / meraviglia del creato”... Guardo da lontano... una persona, con un'inflessione che mi sembra forse portoghese, mi bisbiglia, deciso, di sedermi, perché “Lui” sta per arrivare... lo vedo: piccolo, lento, occhialetti da miope, canuto, molto magro... indossa una specie di sari... sembra librarsi tra le poltrone, quasi volare!... Mi rannicchio, mi nascondo... “Lui” si siede al centro della platea, su una larga sedia bassa, all'altezza della prima fila di poltrone... traccia un ampio gesto circolare con la mano, e tutte le luci di sala si spengono... rimangono i due fasci di luce dei proiettori sulla scena... vedo all'improvviso sul letto una figura di donna... sì, un'attrice, molto truccata, una mascherina nera sul volto... un abito di scena a forma di lungo peplo color cinerino... a falde plissettate larghe, ondeggianti... la guardo intensamente... la fisso... mi sembra quasi... si... mi sembra... la Morte!...
“Lui” a voce bassa le suggerisce qualcosa... Lei inizia a intonare una dolcissima nenia, con la voce di un soprano leggero... la vedo all'improvviso stendersi sul letto... sale il tono della sua voce che diviene sempre più rapinosa... finché Lui la ferma sollevando l'indice della mano destra... intuisco che in realtà quella che stanno eseguendo è una specie di prova, perché Lui con leggerezza si avvicina al proscenio e le parla... Lei riprende a cantare, la sua voce sembra quella di un un flauto, dolcissima... il tempo è sospeso, immobile, c'è una densità emotiva fortissima... mi scendono sul viso delle lacrime... mi vergogno, ma vedo altri spettatori fortemente commossi... affianco a me c'è una giovane signora, le chiedo chi è quell'attrice senza ottenere risposta... passa altro tempo... Lei, ora, si ammutolisce, al centro del grande letto, si toglie la mascherina e... mostra fattezze mascoline... resto sconcertato, spiazzato... inizia a recitare in una lingua incomprensibile, ma s'intuisce l'espressione di un grande dolore, anche fisico... vedo che allarga le gambe, vedo che molto lentamente la sua veste s'arrossa, s'arrossa lentamente anche il lenzuolo, fino a divenire un lago color vermiglio... si sente un flebile vagito che rapidamente si tramuta in un riso infantile... lei dal mezzo delle gambe con un gesto dolce ed elegante alza in alto un fascio di rose bianche screziate di rosso... lo accarezza, prende una alla volta tre rose, e ne lancia una verso il maestro, un'altra verso il pubblico, e la terza la inghiotte... poi... buio!... Mi si chiude la bocca dello stomaco... torna una flebile luce diffusa sulla scena, e intravvedo la platea deserta, ci sono rimasto solo io!...
Mi colano perle ghiacce di sudore lungo il collo... tento di alzarmi ma le gambe pesano più del piombo... Lui, indifferente al vuoto della sala, si volta verso la platea, verso di me... inizia a sussurrare dei versi in in silenzio astrale, percepisco alcune delle sue parole: “Sceeenaaa nuuudaaa, sceeenaaa vuooota / scorreee della viiita la perfettaaa ruooota... / Tuttooo viveee, tuttooo muoreee, / nel silenziooo del suo cuoreee / s'odeee il suono di sacreee parooole”... ora mi vede, mi fissa fortemente, poi mi fa il cenno di raggiungerlo... sono attratto, misteriosamente... lo raggiungo... mi dice “sali”... mi trovo sopra il palcoscenico che inizia ad abbassarsi fino al livello della platea... sono accanto al letto... Lei è immobile... Lui mi dice con un sussurro più imperioso di un tuono del cielo “Accarezzala... sul viso, sul seno, sulle mani”... Sono immobile... non sostengo il di lui sguardo, fermo come un astro notturno... mi avvicino allora a lei... vedo il suo volto che ora m'appare davvero maschile... lo sfioro... scendo sul seno che è prominente e immobile... poi le prendo una mano... è come se toccassi una statua di gelido marmo... grido, urlo: “morta!?”; Lui sorride, allarga il sorriso in una profonda lunga cristallina risata... poi diviene molto serio... Lei apre gli occhi e mi guarda, chiede il mio nome, lo chiede con parole perentorie... glielo dico masticando le lettere... confusamente... lei richiude gli occhi, immobile... mi sembra ora davvero morta! Lui si avvicina, come un cerimoniere si volta verso il fondo della sala che mi sembra un pozzo infinito... fa un gesto.. un proiettore ci investe con una luce fortissima... m'invita a salire sul letto, assieme a lui... mi stringe forte le mani... un altro suo gesto, e si spande una musica, una melodia salmodiante soffusa, ritmata come un gocciolìo di pioggia saltellante... m'invita a salire, mentre una brezza che alita profumi indefinibili mi sfiora il volto... sento una gioia inesprimibile... mi pare di volare... (o forse di sorvolare le onde del mare?)...
Prendo una nuova coscienza di me stesso, ed è come se miscordassidime... mi sento di essere l'universo, che contiene anche il mio vecchio me stesso... Mi sento allargato ed espanso nella luce, un tutt'uno con la luminosità del palcoscenico che tale più non pare, piuttosto uno spazio assoluto, e aperto ad ogni mia immaginazione... Lei ora ride, è bellissima, ha ora fattezze dolci e femminee... Lui mi suggerisce di sfiorarle di nuovo il seno, con dolce lentezza... la tocco sfiorando il ventre tremolo, provo un indicibile senso di purezza antica... Lui si scosta, schiena alla platea, indietreggia salutandoci con i palmi aperti delle mani come fossero angeliche ali... I grandi lembi del sipario purpureo iniziano a scorrere l'uno verso l'altro... Lui continua a salutarci, slontanandosi sempre più... diviene sempre più piccolo, sempre più piccolo, indistinguibile... Il sipario dondolando è quasi chiuso... la luce s'abbassa con lentezza... rimane ormai un'ultima alta fessura del sipario... un taglio... una spaccatura... non capisco dov'è la vita, se di qua o di là... vorrei rimanere... vorrei attraversare quel taglio, raggiungere Lui... sono come immobilizzato da un me stesso che ora non riconosco più... lei mi prende la mano, m'invita a restare su quel letto, su quella barca nell'oceano, su quel vascello volante... ma ho paura, e assieme, attrazione irresistibile per quello spazio che s'avvia a sprofondare sempre più nel buio... il sipario si chiude inesorabilmente.. vorrei gridare, non ci riesco... vorrei morire... non ci riesco... vorrei essere divino, e non ci riesco... non ci riesco... non ci riesco...

BUIO