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Giunto al suo quindicesimo anno questo festival torinese, diretto da Beppe Navello, si conferma un evento particolare, ogni anno “singolare”, un festival in movimento e di osmosi in un momento in cui al dissolversi delle frontiere interiori e mentali, disarticolate e non sempre in positivo

dalla globalizzazione, sembra paradossalmente far riscontro un irrigidirsi di quelle fisiche e geografiche come purtroppo ci segnala la cronaca quasi ogni giorno.
Quasi a ricordarci che  in una società divenuta “liquida” la comunità pare aver progressivamente perduto la sua capacità di sostenere e articolare una identità che da estetica si faccia psicologica, mentre ognuno di noi contemporaneamente va a perdere la capacità di specchiarsi nell'altro, vicino o in arrivo che sia, l'altro che è pur sempre la cifra per riconoscerci, Teatro a Corte riavvia anche quest'anno la sua ricerca nelle pieghe del teatro europeo.
Così questo nostro girovagare tra le magnifiche residenze sabaude non è solo “spettacolo” ma diventa la metafora di una ricerca appunto che si articola nel tempo, della nostra memoria perduta ma sempre sostanza della nostra intima possibilità di identificarci, e nello spazio a cavallo tra la scandinavia, sempre così dura nel mostrarsi i limiti fisici e naturali entro cui naviga e talora si infrange l'esistenza, ed il mediterraneo sofferente ma ancora inevitabilmente primitivo costruttore di senso per la nostra civiltà.
Hanno accompagnato questo girovagare venerdì 25 luglio:

ONDA TEATRO Scarti
Da produttori incoercibili e incontenibili di rifiuti stiamo diventando noi stessi scarti di un mondo che è vicino, letteralmente, a non sopportarci più. Operina di “teatro urbano” progettata e diretta da Bobo Negrone per i movimenti coreografici di Roberto Cocconi, Luca Zampar e Maria Paola Pierini, ha impegnato nella sala prove del teatro Astra un gruppo di giovani e bravi danzatori/performer. Operina “morale” si potrebbe definire con termine antico, che sostituisce le parole con l'evidenza dell'affanno che l'ambiente ci manifesta, per cercare un cambiamento che, per una volta, non sia solo retorica di facciata.

ALPO AALTOKOSKI COMPANY Deep (foto a sinistra) e Together (foto in alto)
Gettare uno sguardo problematico sulla sostanza del nostro esserci, anche in forma di sentimento e sogno, sembra il fine di questa coreografia del noto danzatore finlandese che dà il nome alla compagnia. Uno sguardo verso il fondamento stesso da cui sorge il nostro sentire, un fondamento fatto di scheletro e nervi così che quello stesso sguardo si fa radiografia ed il movimento della danza si fa scomposizione di organi e di ossa che si trasformano esponendosi quasi davanti ai nostri occhi. Ma questo andare così a fondo nella materia, che si mette a nudo nella sua fisicità concreta, paradossalmente diventa un andare oltre la materia, e la progressiva semplificazione dell'organico nei suoi elementi di base, genetici ed anche darviniani (le scapole che si trasformano improvvisamente in antiche ali), si fa quasi spasmodica evocazione dello psicologico ed infine manifestazione estetica del metafisico.
Questo è Deep, inquietante ma anche liberatorio. Together riscopre invece, forse proprio a partire da Deep, la relazione, qui la relazione duale, come motore ineludibile delle emozioni che solo nella relazione si liberano, oltre la scura singolarità e l'egoismo che talora l'imprigiona anche terrorizzandola. Molto bravi qui Ahto Koskitalo e Jouni Majaniemi che ne sono i protagonisti.

SALLA HAKANPAA ZERO GRAVITY COMPANY Pinta (foto a destra) / Surface
Ancora un approdo finlandese, stavolta nella forma del Circo Contemporaneo in cui la danza si mescola e miscela con la performance anche atletica. Gruppo interamente declinato al femminile ripropone in un certo senso ossessivamente il rapporto tra materia e sentimento quasi che la prima sia indispensabile corollario del secondo. Qui la materia però si fa movimento che nello spazio è sedotto dai ritmi dell'acqua in movimento, acqua che dà quasi l'impressione di avere ed imprimere al moto una forza e una direzione propria, da assecondare fino in fondo. La sfida, quella citata nella presentazione, infine appare il “vedere” e “far vedere” le proprie sensazioni e i propri sentimenti muoversi nei liquidi riflessi di zampilli e piogge tumultuose.

Sabato 26 luglio abbiamo lasciato Torino per la Venaria Reale.

ATELIERSI Boia
Concerto Performance del collettivo bolognese qui rappresentato da Fiorenza Menni e Andrea Mochi, già all'ultimo Santarcangelodeiteatri. A proposito di comunità, il collettivo si è immerso in una ricerca e, con qualche aspetto anche sociologico se non politico, una selezione delle scritte che affollano i muri delle nostre città e ora li trasforma man mano in gesto estetico e performativo. È un gesto che si fa drammaturgia in cui le parole non creano direttamente senso ma si affastellano davanti a noi agganciandosi, quasi come particelle agli atomi, ai nostri ricordi e sensazioni e ricomponendosi così in mille diverse drammaturgie, dal palco al pubblico e dal pubblico al palco. Drammaturgia di relazione dunque, polisegnica e multilinguistica, che si dipana oltre la contingenza scenica da un prima che ricostruiamo ad un dopo che dobbiamo e possiamo solo immaginare. Slittamenti linguistici e sonorità disarticolate talora quasi scomposte ne disegnano una sostanza scenica significativa e, oltre certe semplificazioni, anche profonda.

SENZA TEMPO Lazurd, viaje a travès del agua
Ecco il mediterraneo in questa opera di teatro visuale che sembra dialogare con i ritmi algidi e taglienti dei performer scandinavi. Ma ancora l'acqua come elemento da attraversare ma che unisce. La compagnia spagnola sembra contrapporre il nomadismo che feconda alla solitudine che isterilisce. Un nomadismo che feconda ma insieme è fecondato da quel ritmo di fondo che incista tutta la musica mediterranea dalla penisola iberica a quella balcanica, passando per la nostra troppe volte dimenticata. Incista e crea in fondo la grande musica europea come le etnie e le migrazioni hanno per secoli incistato e creato l'arcobaleno del nostro continente, oltre le frontiere che da geografiche si mostrano di classe, tra ricchezza e povertà, bisogno ed egoismo. Dunque partire per salvare ciò che lasciamo insieme a ciò cui andiamo incontro, sembra questo il messaggio disegnato in una scena trasformata in mare da navigare su vecchie e sbilenche sedie, mentre simboli e metafore di una andare per l'Europa naufragano nella chiassosa ironia della “fiesta”.  Sotto la direzione artistica dei catalani Ines Boza e Carles Mallol, i cinque performer sanno ben recitare e narrare con lo sguardo e il movimento.