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“Cultura è coltura”: è in questo binomio, ancestrale e consapevolmente formalizzato dall’antica cultura latina, che dal 31 luglio al 2 agosto si è svolta nell’Orto botanico di Palermo l’edizione 2014 (la trentunesima) di “Macchina dei sogni”, il prestigioso festival di narrazione e teatro di figura diretto come sempre da Mimmo Cuticchio. Un’edizione, quella di quest’anno, che sarebbe facile da sintetizzare e raccontare nel suo significato, declinando e approfondendo le varie implicazioni di senso di questo binomio: cultura e coltura, appunto. Da una parte la “coltura” ha trasformato la natura, selezionando e utilizzando, oltre che per fini nutrizionali anche a fini estetici o scientifici, la flora e i diversi ambienti naturali e l’uomo ha raccontato nei millenni e in diversi contesti geografici, questa vicenda; d’altra parte la “cultura” ha saputo rivestire di senso la natura e l’ha animata e raccontata sia come “coltura” sia come mondo selvaggio, spaventevole e assolutamente “altro”. È dunque partendo dalla fecondità di questo binomio che quest’anno Mimmo Cuticchio ha voluto realizzare il suo Festival in un luogo assolutamente straordinario della sua Palermo, ovvero nel settecentesco Orto botanico: «La letteratura epico-cavalleresca, fonte principale del repertorio dell’ Opera dei Pupi e del cunto, è ricca di descrizioni naturalistiche: boschi, valli e brughiere fanno da sfondo ai convegni d’amore e ai combattimenti – spiega Cuticchio -. Ma il Verde è imprescindibile anche per il Don Chisciotte del Cervantes, e persino per Galileo Galilei che, grazie al suo primo cannocchiale, descrisse un’improbabile vegetazione lunare, mutuata dalla fantasia dell’Ariosto. Dalla letteratura al paesaggio e dal paesaggio alla letteratura, lo scambio avviene in direzione biunivoca: lo scenario dell’Orto Botanico, di per sé carico di tutti i simbolismi che gli sono propri, ritorna all’arte come elemento ispiratore».  Il fascino di questa operazione è evidente ma, ad animare questa intuizione, l’artista palermitano ha voluto integrare in essa non solo il lavoro di artisti che sono congeniali alla sua poetica (Bruno Leone con le sue “Guarattelle Napoletane”, il bolognese Teatro degli incompatibili col suo “Ubu roi”, i burattinai Mariano Dolci e Marcel Gorgone, le formazioni musicali “In Taberna”, con la ricerca relativa alla musica medievale, e “GliArchiEnsemble” che hanno accompagnato dal vivo l’episodio tradizionale dell’Opra dei Pupi dei Figli d’arte Cuticchio guidati dal giovane Giacomo), ma anche la voce di alcuni studiosi come il filologo Corrado Bologna (le “lune di Ariosto, Galilei e Leopardi”), l’agronomo e botanico Giuseppe Barbera (“il giardino Botanico e il paesaggio dell’Orlando Furioso), il giornalista-narratore Gabriello Montemagno (“Angelica che sfugge all’amore”), l’astronoma Lara Albanese, il botanico Manlio Speciale, e quella dei giovani allievi attori-narratori (Santa Buttaci, Maddalena Campanella, Librante Costa, Valeria Di Chiara, Chiara Di Dino, Cesare Maschi, Davide Greco, Isabella Messina, Marianna Di Muro, Michele Neri, Giusva Pecoraino, Giuseppe Provinzano, Salvatore Ragusa), provenienti da tutta Italia e protagonisti del laboratorio di narrazione che, da maggio in poi, Cuticchio ha tenuto nello spazio della chiesa sconsacrata di San Mattia. Ed infine, la sera del 2 agosto, ancora una volta, il cunto dello stesso maestro, un racconto che questa volta ha attraversato il cielo di Palermo con “La battaglia di tre contro tre all’Isola di Lampedusa”.  Un episodio della tradizione epica (sul versante colto si trova al XLI canto dell’Orlando Furioso e vi si narra del terribile scontro tra i cavalieri cristiani Orlando, Brandimarte e Oliviero e i pagani Agramante, Sobrino e Gradasso) che Cuticchio interpreta da par suo facendolo precedere, sicuro e sornione, dalla lunga narrazione del suo ingresso nella nobile arte popolare del cunto attraverso il lungo tirocinio col maestro Peppino Celano e il dono da parte di costui della spada che lo consacra, ancora giovane, come suo erede.

Fin qui il resoconto di quanto è avvenuto in questa bellissima edizione di “Macchina dei sogni” a Palermo. Resta tuttavia un interrogativo e, in qualche modo, un rovello che non può essere ignorato: in che cosa consiste esattamente l’essere “contemporaneo” di questo artista? È una qualità che Cuticchio non solo non nasconde, ma che anzi protesta continuamente di possedere in (giusta e legittima) polemica con quanti continuano a usare l’opra dei pupi e il cunto per realizzare spettacoli tradizionali, o pseudo tali, che hanno più a che fare col folklore e col kitsch che non con l’autentica cultura popolare di una terra come la Sicilia. E allora? Allora perché Cuticchio può essere considerato un vero artista dell’oggi e un maestro e altri no, o non alla sua altezza? Questa domanda implica una straordinaria serie di considerazioni e prospettive di approfondimento che, ovviamente, non possono trovare luogo e spazio adatti in una recensione giornalistica, tuttavia una cosa può essere detta con semplicità, esattezza e senza tema di errore: il lavoro di Cuticchio possiede la qualità del contemporaneo perché, al di là del suo rapporto diretto e familiare con una antichissima tradizione d’arte, egli non ha mai potuto fare a meno di porre sé stesso e la sua operatività d’artista, consapevolmente e criticamente, in una posizione di lettura politica della realtà e dei luoghi in cui si situa e incide. In altre parole, data la sostanza storica di ogni cultura, la provincia e le sue espressioni d’arte sono la carne stessa della cultura, la parte più preziosa e viva, a patto che esse sappiano essere lucidamente consapevoli della loro posizione nella vicenda culturale in fieri di una civiltà, di un’epoca, di un contesto umano. Questo allora è il senso dell’inesausta ricerca di un rapporto profondo e attivo (anche polemico talvolta) con Palermo e con tutti i luoghi e le situazioni in cui questo maestro si è trovato ad operare, questo è il senso della sua attenzione alla lingua, alle parole, alla musicalità della narrazione, il senso dei suoi viaggi, degli incontri, della consapevole apertura ad altre tradizioni e ad altri repertori, il senso, infine, dei laboratori di narrazione e della sua continua ricerca di un rapporto vivo e vitale coi giovani. L’arte di Cuticchio è dunque contemporanea perché non si esaurisce nella sterile riproposizione di un repertorio e di un mestiere senza più rapporti con la realtà ma, esattamente al contrario, perché vive testardamente nel (e del) rapporto con la realtà: se mentre fa il cunto Cuticchio guarda negli occhi il pubblico palermitano (e chiaramente non solo palermitano) non è insomma per incantarlo, blandirlo, stordirlo ma, al contrario, per svegliarlo con la felice – seppure spesso dolorosa - rammemorazione della bellezza, della ricchezza e dell’ umanità che è custodita nelle pieghe della sua storia.