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“Io mai niente con nessuno avevo fatto”, della giovane compagnia siciliana “Vucciria Teatro” è uno spettacolo intenso, ben costruito, capace di emozionare. Lo si è visto a Noto, nel cortile del Ex-Convitto Ragusa, sabato 13 settembre, nel contesto del nuovo festival “Codex”, diretto da Salvatore Tringali. Testo e regia (pulita, lineare, con una bella cura del ritmo) sono di Joele Anastasi, che è anche in scena nel ruolo del candido Giovannino, insieme con Enrico Sortino e Federica Carrubba Toscano. Si tratta di una storia d’amore, coraggio e morte, della storia del bruciante amore omosessuale tra Giovannino e il suo maestro di danza, Giuseppe (dapprima vittima della sua stessa violenta storia familiare, poi amante infuocato di Giovannino, sebbene incapace di uscire dal ruolo di maschio virile e ammogliato, e infine carnefice del suo giovane amante malato terminale). Accanto a Giovannino c’è la cugina Rosaria che è tutto per lui: madre, sorella, amica, complice, maestra di ballo, protettrice, compagna di giochi e d’avventure. Un amore vissuto in un ambiente popolare (con tutta evidenza un rione di Palermo, impregnato di sottocultura tradizionale, omofoba, violenta e machista) e attraversato in modo ingenuo, assoluto, bruciante. Un amore che si ribalta però in tradimento, violenza vigliacca, debolezza colpevole, che si rovescia in paura e disprezzo all’apparire della malattia (l’aids) e della morte: «Mi ha detto che ero un frocio di merda, che dovevo morire e che – urla ferito e incredulo Giovannino - a ballare facevo schifo». Uno spettacolo che val la pena di vedere insomma, che giustamente è stato segnalato in diversi Festival e che, legittimamente, girerà ancora le piazze teatrali italiane. E però, occorre dirlo, nihil sub sole novum almeno per quanto riguarda la ricerca teatrale siciliana: stanco manierismo e niente di nuovo, né nel contenuto né nel linguaggio scenico che ripete, senza originalità, atmosfere, stilemi e segni che almeno da vent’anni caratterizzano il migliore teatro dell’Isola. Segni che sono legati però ad un’altra atmosfera culturale e sono diventati la lingua teatrale di una intera generazione di artisti siciliani. Una generazione che si è confrontata con la contemporaneità nel decennio trascorso e oggi vive ed esprime la sua maturità artistica proprio mettendo in discussione quegli stilemi: resta evidente che da una compagnia di giovani ci si aspetta invece molto di più in quanto a profondità nella lettura della realtà e a novità di linguaggio.