Pin It

Tramedautore, il Festival Internazionale della nuova drammaturgia in scena al Piccolo Teatro di Milano fino al 28 settembre, presenta una gamma variegata di testi e rappresentazioni del reale.


Dayshift
Tra i moltissimi spettacoli in scena, interessante è Dayshift, al Piccolo Teatro Grassi il 19 settembre. La scrittura teatrale di Darren Donohue (traduzione in italiano di Roberta Verde) è stata selezionata dal Festival PIIGS di Barcellona per rappresentare l’Irlanda nell’ambito di quell’articolato progetti che coinvolge i paesi denominati con l’acronimo inglese PIIGS, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Si tratta dei paesi dell’Unione Europea con maggiori problemi economici, divenuti protagonisti della sezione omonima del Festival milanese attraverso una pièce selezionata per ciascuna nazione. Dayshift (Turno di giorno) sceglie la metafora del paradosso. Le avventure di Mr Day durano una sola giornata, come nelle tragedie greche, come per Leopold Bloom di Joyce. Ma questa volta si tratta di un uomo normale con una vita normale, alle prese col primo giorno di lavoro in una grande azienda. Ecco la metafora che prende corpo, reparti, uffici e impiegati sono la trasposizione dell’uomo moderno nello stato moderno, tra non sense, giochi di potere, ingiustizie e illogicità. La follia sembra sempre in agguato, ogni individuo è chiuso nel recinto dei propri bisogni e dei propri obiettivi, mentre il povero Mr day è sbattuto da un andito all’altro di quel palazzone, sempre più simile a un surreale gioco di società fatto di prove da superare l’una in successione all’altra. La regia di Elisabetta Carosio è essenziale e vivida, il confine tra lettura scenica e rappresentazione è labile, come se la dimensione del racconto dovesse venirne maggiormente esaltata. L’Irlanda dal modello economico aggressivo ma fragile è nel rovescio della metafora, ma la validità nel testo sta nel suo carattere non cronachistico né documentaristico. L’intento è riflettere su ciò che è sotteso, su ciò che ci corrode, sul non detto.
Disavventure, toni surreali post-moderni e humour nero sono la cifra stilistica di un’analisi elaborata, complessa e articolata per livelli, il cui obiettivo è costruire un avatar del complesso mondo odierno. Che così gli uomini capiscano meglio l’assurdità del proprio agire?

Confessions of Mr. Kim, Lee and Park
Tutt’altro scenario nel testo di Kim Kwang-Lim, Confessions of Mr. Kim, Lee and Park, rappresentato al Piccolo Teatro Grassi il 22 settembre 2014 (adattamento di Marion Schoevaert,
traduzione Alice Spisa). Il noto drammaturgo coreano, pluripremiato e tradotto in varie lingue, mostra la sua nazione da punti di vista nuovi e inattesi, almeno per l’immaginario europeo.
Tre uomini d’affari aprono il loro cuore davanti al pubblico, in un viaggio a ritroso nelle loro esistenze, dalla scuola fino al presente. Vizi e virtù si palesano impietosi, dalle prostitute giovanissime all’improbo lavoro in ufficio, fino all’ambizione insaziabile del potere.
La parabola umana è decadente ma senza retorica, forse per questo ancora più dolorosamente drammatica. La scrittura scenica articola quadri in successione costruiti su diversi linguaggi, quello dell’articolo di giornale, l’annuncio di lavoro, il manuale di scuola, il bilancio aziendale. Diventano refrain ossessivi, segmenti di vita che si alternano con un alone di drammatica assenza di senso. L’ascesa al vertice del successo tra intrighi e malaffare, immoralità e corruzione lascia l’amaro in bocca, una domanda nasce spontanea: cui prodest?
Abile e riuscito il salto impazzito tra registri diversi, con la sovrapposizione di inserzioni sonore sul dialogo allucinato.

La mia massa muscolare magra
In scena ancora al Piccolo Teatro Grassi il 26 settembre 2014, è un testo del giovane ma già navigato Tobia Rossi (regia, scene e luci Manuel Renga), nato durante una residenza presso gli spazi di Residenza Idra Brescia nel gennaio 2014. La struttura è semplice ed efficace, un monologo interpretato da Daniele Pitari con segmenti di una decina di minuti in cui il protagonista racconta la propria vita sessuale forsennata in un gruppo di auto-aiuto per sex addicted. Il sesso è il punto di partenza, quello compulsivo tramite una applicazione gay con cui rimorchiare in un battito d’occhio perfetti sconosciuti. Storielle e aneddoti da letto si dipanano l’uno dopo l’altro delineando l’anima inquieta, il vuoto da riempire con perfetti nessuno che finiscono per svuotare ancora di più quel cuore. Tutta colpa del corpo, sembrerebbe volerci dire il bravo Rossi, quel corpo obeso e rifiutato nell’età della giovinezza, poi asciugato dalla dieta e riscattato dal sesso forsennato. Ma è l’anima che cerca lo stordimento mediante la compulsione del suo involucro, è il cuore che vacilla nel vuoto cittadino in cui la folla ci rende ancora più isolati e anonimi. La conclusione è amara e catartica, con l’amore intravisto e guastato, il giorno nuovo che arriva grazie all’amore per sé.
Convincente la recitazione di Pitari, tra il flebile imbarazzo della confidenza a uno sconosciuto e il pezzo di emozionata biografia di uomo contemporaneo. La scenografia è spoglia come nel migliore teatro d’oggi e il contributo video localizza i fatti tra le vie, le metropolitane e i negozi meneghini, ma riesce ad assumere valore tutt’altro che localistico. E’ un puro spaccato di vita contemporanea, senza desiderio documentaristico né scandalistico. L’obiettivo assai più valoroso è descrivere il labirinto con cui l’uomo moderno ha a che fare, dove il corpo manifesta l’anima e la sola via d’uscita non si trova nei precetti né nelle ideologie, ma solo nel’integrità dell’amore per se stessi.