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Novembre 1984: è un inizio, uno dei tanti, ma sicuramente quello ufficiale. Saranno trent’anni tra poco e non me ne sono accorto, oppure fingo di non accorgermene, perché, a ripensarci, mi fa paura e allo stesso tempo mi dà quell’euforia che è insieme esaltazione, legittima, no?, vertigine e smarrimento. Ci tenevo a indicare una data, quella data, perché molti hanno pensato che la mia scrittura e l’attività della mia compagnia, Teatro Pubblico Incanto, fossero nate all’improvviso, quasi dal nulla, nel 2003, anno in cui il mio testo Mari ricevette il Premio speciale della Giuria del Premio Riccione Teatro. E non era così. Per anni ho lavorato con la mia compagnia quasi esclusivamente nel piccolo spazio teatrale da noi inventato, preoccupati soltanto di andare in scena. Essere fuori dal centro, da ogni centro possibile, non ci dava nessun pensiero, perché quello spazio era il nostro centro. Ci preoccupava invece la formazione, la nostra e quella del pubblico, formazione che doveva tenere conto di difficoltà e resistenze. Questa breve premessa chiarisce subito che la mia scrittura nasce dentro una compagnia, sebbene il primo testo, quello che segna l’esordio e del quale ho perduto titolo e parole, sia venuto alla luce in altri contesti, cioè in Umbria nel 1990: un testo per voce narrante e quattro musicisti; era il primo, una prima scrittura nata per i bambini delle scuole elementari, e non ricordo molto, a parte l’accoglienza e la partecipazione.
Il binomio scrittura e attività di compagnia dichiara subito l’intenzione, la causa e la finalità: relazione e comunicazione. Sono i presupposti che accompagnano tutte le mie riflessioni sulla drammaturgia. Ferire, ferirsi, riaprire cicatrici, comprendere, comprendersi, curare e curarsi. È una analisi continua e spietata che mette in ginocchio, cerca nel fondo un’umiliazione per riemergere travestita dalla bellezza del suono della parola o del gesto o di un silenzio. Non cerco altro, né mi interessa pagare il conto alla cronaca o alla contingenza di un “contemporaneo” narrabile solo attraverso la ri-creazione e la citazione. Fra tutte le riflessioni, una mi sta a cuore in modo particolare: la continua riflessione sul tempo, sulla sua percezione reale e sulla sua azione. Percepire il tempo, un  tempo, riuscire a dilatare i suoi confini matematici fino a scontornarli, strappandolo alla necessità e all’obbligo. Un esempio tra tutti: la scena finale di Mari, quando l’uomo e la donna ritrovano un contatto fisico congiungendo le loro mani nell’acqua; quell’istante lo percepisco sempre come un tempo infinito, un istante che non ha più misura e che ci rimette in contatto con l’eternità e con tutti i mondi possibili.
Scrivo soltanto quando ho messo a fuoco tutte le suggestioni, le percezioni e le possibilità. Non c’è una regola, se non quella dell’attesa. E nell’attesa faccio altro, camminando su doppi binari, camminando a volte molto lentamente, per avere la possibilità di fermarmi, scendere, guardare ed entrare. E lungo il cammino ci sono gli amici da incontrare, il teatro da vedere, nonostante le distanze, le conversazioni, i laboratori nelle scuole, la formazione, anche quella personale, perché continuo a leggere le parole degli altri, mi piace dedicarmi alle scritture di oggi e il Centro per la Drammaturgia Siciliana, nato in seno a Teatro Pubblico Incanto, è un modo per rimanere in contatto anche con la drammaturgia isolana e capire le sue evoluzioni.
Per la scrittura ci sono momenti durante la giornata che prediligo, soprattutto in tarda mattinata o nel tardo pomeriggio, quando il giorno è quasi definito o quando sta per finire. Probabilmente la concentrazione in queste ore per me è massima, perché raccoglie e valuta tutte le informazioni, c’è una lucidità maggiore che è in grado di suggerire scelte, ripensamenti, direzioni. Un vizio mi concedo, soprattutto quando comincio a scrivere: il ritardo. Mi piace ritardare la scrittura, ritardare il momento in cui tutto quello che ho sentito sulla pelle e nell’anima diventerà forma, parola, perché so che proprio in quel momento ogni percezione, ogni riflessione, ogni appunto e pensiero riceveranno nella compiutezza la loro morte; ci sarà bisogno poi di attori, di uno spazio, di un pubblico, per restituire ad essi la vita. Particolare fondamentale: il luogo della scrittura. Dopo varie migrazioni da una parte all’altra della casa, da anni ormai la cucina è stata promossa a sede definitiva di lavoro. Gli ingredienti e gli odori ci sono tutti: uno scorcio dei Peloritani,  un triangolo di mare, il torrente in secca d’estate, una strada, l’unica che ci collega al resto del mondo, e il fuoco.

Tino Caspanello (1960), vive a Pagliara, un piccolo comune della provincia di Messina. Si diploma nel 1983 in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Perugia dove segue anche un corso di regia a cura del Centro di Documentazione dello Spettacolo. Ritornato in Sicilia, dal 1984 ha collaborato come scenografo con diverse compagnie messinesi; è stato assistente alla regia di Arnoldo Foà per la messa in scena di un suo testo. Nel maggio 1993 fonda l’Associazione Culturale Solaris – Compagnia Teatro Pubblico Incanto, con cui allestisce e interpreta più di 30 spettacoli di autori quali Eduardo De Filippo, Jacopone da Todi, Shakespeare, Pirandello, Albee, Melville, Consolo, Wilcock; parallelamente, inizia la sua attività di drammaturgo. Scrive e mette in scena: Sira; Kiss; Mari (Premio speciale della Giuria del Premio Riccione Teatro 2003; apparso su «Hystrio» n 2 – 2005; è stato tradotto in francese da Frank e Bruno La Brasca e presentato nel progetto “Parole in anteprima” a cura di  Antonella Amirante a Marsiglia,  Lione, Tolosa, Strasburgo; pubblicato nel 2010 da Editions Espaces 34 è stato messo in scena a Parigi dal Théâtre de l’Atelier con la regia di Jean-Luis Benoît; il testo è stato presentato in polacco al Border Festival di Cieszyn, giugno 2012); Rosa (Primavera dei Teatri, Castrovillari, 2006); ‘Nta ll’aria (Primavera dei Teatri, Castrovillari, 2007; pubblicato in Senza Corpo – Voci dalla nuova scena italiana, minimum fax, a cura di Debora Pietrobono, 2009; è stato tradotto in francese da Julie Quénehen con il sostegno della Maison Antoine Vitez e pubblicato nel 2012 da Editions Espaces 34); Handscape (Graz, Schauspielhaus, 2008); Malastrada (segnalato al Premio Tuttoteatro.com – Dante Cappelletti e premiato da Legambiente per l’impegno civile, è apparso su «Hystrio n. 4 – 2010); Ecce homo; Fragile (Teatri in Città, Caltagirone, 2009); Terre (CapoArte Festival, Ricadi, 2010); Interno (Sala Laudamo, Messina, 2011; tradotto in greco da Giorgia Karvounaki, è stato  presentato ad Atene, al 2° Focus di Teatro contemporaneo, a cura dell'Institut Français de Grece,” aprile 2013); 1952 a Danilo Dolci (Primavera dei Teatri, Castrovillari, 2012). A maggio del 2011, insieme ad altri drammaturghi provenienti dal Belgio, dalla Turchia, dal Canada e dalla Polonia, è ospite del Troisième Bureau di Grenoble al Festival Regards Croisés, durante il quale viene presentato in francese A l’air libre (Nta ll’aria). Dalle due rassegne Microcosmi, dirette tra il 2000 e il 2004, nasce il progetto di un festival, Pubblico Incanto Artheatre Festival, realizzato nel 2011. Per la sua attività di regista e autore riceve nel 2008 il premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Di Tino Caspanello Editoria & Spettacolo ha pubblicato i volumi: “Quadri di una rivoluzione” (Quasi notte, Quadri di una rivoluzione, 1952 a Danilo Dolci, Terre, 1-2 p.m.), collana Percorsi, 2013; “Teatro di Tino Caspanello” (Mari, Rosa, Nta ll’aria, Malastrada, Sira, Interno, Fragile). collana faretesto, a cura di Dario Tomasello, 2012.
Nel 2014 il suo testo Quadri di una rivoluzione ha ricevuto il Palmarès Eurodram presso la Maison d’Europe et d’Orient di Parigi; tradotto in francese da Christophe Mileschi, sarà pubblicato in Francia a cura dell’Università di Toulouse.