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Si avvia a conclusione il Festival MilanOltre, in programma dal 27 settembre al 12 ottobre al Teatro Elfo Puccini di Milano. Per la sua 28° edizione conferma la formula di successo di questi anni, la capacità di unire linguaggi diversi che abbiano in comune la danza. MilanOltre resta un appuntamento imprescindibile per comprendere in che direzione il linguaggio della performance si stia sviluppando. E tra queste linee guida da un lato è sempre più chiara la commistione di generi, la citazione delle peculiarità degli altrui codici espressivi in un ecumenismo espressivo che mai in passato è stato così evidente. D’altro canto – ma non è una novità dell’ultimora – continua il lavoro di scavo sull’identità della danza a colpi di sottrazione. Sottrazione della musica, sottrazione dell’armonia, sottrazione del gesto stratificato in secoli di danza. Questo è lo spirito con cui assistere agli spettacoli in cartellone, il contatto con la pura ricerca, il gioco all’azzardo che vuole esplorare fino a dove ci si possa spingere.
Interessanti i tre focus proposti in questa edizione, il primo dalla compagnia inglese Aakash Odedra, il secondo dalla gallese National Dance Company Wales e il terzo dal Balletto di Roma. A margine di questo, si realizza ciò che risulta più intrigante di tutto il festival, ossia una panoramica variegata sulla danza italiana contemporanea, con danzatori, progetti estetici e idee nell’ambito proprio della Vetrina Italia, in cui figurano ben 25 titoli di cui 10 in prima nazionale, una prima europea e la prima assoluta di Der Gelbe Klang (Il Suono Giallo), co-produzione di MilanOltre con Compagnia Susanna Beltrami.
Tra le pieghe di queste proposte risaltano alcune pièce di un certo interesse formale. Ad esempio, Daniele Albanese presenta AnnoTtazioni (5 ottobre), tutto dedicato all’assenza. Su uno sfondo candido di silenzio si staglia il movimento sincopato, metafora corporea della ricerca, dello smarrimento, del dubbio. Su un rumore di fondo scostante si dipana invece l’esistenza messa in scena in danza, niente armonia né slancio aulico verso l’assoluto ma fatica di vivere e quotidianità scalzante. Anche Bird’s Eye View di Nexus/Simona Bertozzi (5 ottobre) è un assolo ispirato di pura sottrazione, con l’evocazione di linguaggi teatrali, il superamento dei passi di danza e la ricerca di nuovi paradigmi espressivi. Resta in bocca l’amaro, il superamento di quella dimensione onirica della danza classica alla ricerca spasmodica dell’armonia, a favore invece di un taglio espressivo più grezzo, concettuale, disarticolato. E sull’altare della ricerca si è sacrificata la musica e il gesto puro, a favore di un racconto quasi drammaturgico.
Analoga attenzione al racconto c’è in  iLove (10 ottobre) di Fattoria Vittadini. Riccardo Olivier e Cesare Benedetti narrano il loro amore, ma ciò che conta è il linguaggio impiegato. Tutto comincia sulle suggestioni del teatro danza, tra narrazione a voce e gesti teatrali. I costumi sono pop quotidiani, ma a poco a poco, tra nudità e cambi d’abito minimal, essi suggeriscono un trasferimento verso il mondo della danza. Qualche accenno di danza classica, molte citazioni agli stacchetti del varietà, qualche accondiscendenza (di troppo) al sarcasmo e alla giocosità. Cosa resta di tutto ciò? Il tentativo di sperimentare i confini della danza, scoprendo che in fondo essa può risultare una disciplina interstizio tra la teatralità, la narrazione e la parodia.