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Ci sono spettacoli che costringono a pensare: le emozioni sì, magari ci sono anche le emozioni, ma è la riflessione che conta, il pensiero, il gesto del pensiero che si confronta con la realtà e prende posizione. Il pensiero che s’impone con la ferma lucidità politica, filosofica ed estetica, della ribellione e della rottura. Abbiamo visto a Gibellina il 27 luglio scorso, nel contesto delle Orestiadi, “Too Late! (antigone) contest #2” dei romagnoli “Motus”

(regia e drammaturgia di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, in scena Silvia Calderoni e Vladimir Aleksic), compagnia di punta della ricerca teatrale italiana, e ne abbiamo ricavato un’impressione assai profonda, dura. Si tratta del secondo segmento del progetto “Syrma Antigones” (traccia di Antigone) che si concluderà a ottobre del 2010 con la realizzazione di uno spettacolo/inchiesta nel quartiere ateniese di Exarchia dove nel 2008 fu ucciso dalla polizia, nel corso degli scontri tra anarchici, studenti e forze dell’ordine il giovane (appena sedicenne) anarchico Alexis Grigoropulos. Già il titolo dice molto di questo spettacolo, programmaticamente, e però occorre capirlo: non si tratta di un testo, né di uno spettacolo concluso in forma finita e gerarchicamente organizzata, ma di un “contest”, nel senso che a questo termine assegna la cultura urbana giovanile dell’hip hop, ovvero un confronto/ scontro. Un confronto, dinamico e aperto, attraversato (eticamente), prima che recitato, dagli attori e che, nella sua problematicità, nella sua indefinita complessione simbolica, lascia aperti vasti spazi al vissuto quotidiano degli interpreti (la condizione giovanile, il vuoto di senso, la violenza in ogni sua forma, l’autoritarismo madiatico) e aggancia immediatamente gli spettatori. Non una riscrittura, ma un confronto serrato tra testi e con i testi (quello di Sofocle anzitutto, nel suo religioso rispetto per il mistero e per le ragioni ancestrali che innervano la ferrea volontà della figlia di Edipo, ma poi l’Antigone ribelle, politica e antimilitarista di Brecht e del Living Theatre ed ancora la riflessione anch’essa politica di Liliana Cavani nel film “I cannibali”) e testo scenico; testo scenico e messinscena (la recitazione stenta a dispiegarsi, parte e poi s’interrompe, sembra divagare, resta sospesa nella scelta tra varie possibilità); ancora, tra messinscena e contingente accadimento scenico (l’accadimento puntuale e interamente politico che vede la trasformazione, durante lo spettacolo, di persone diverse, sguardi diversi, sensibilità e aspettative diverse in un solo pubblico che vive insieme quell’avvenimento, prova a capirlo, interpretarlo, s’interroga su di esso e poi lo giudica o rinuncia a giudicarlo). Un confronto aspro tra generazioni e ruoli: in questo caso, tra il potere adulto, da una parte, incarnato da Creonte (Vladimir Aleksic, attore serbo generoso eppure capace d’essere tagliente) e, dall’altra, la ribellione ad esso, anarchica se si vuole, estremistica e giovanile, incarnata da Emone/ Antigone (Silvia Calderoni, interprete straordinaria nel suo corpo androgino, figura di danzatrice esilissima e insieme potente). Creonte che s’interroga su quale tipologia d’ esercizio di potere gli si adatti meglio, se quella fredda di un Andreotti o di un Cossiga o quella impetuosa, arrogante, di un Berlusconi o di un Putin; Creonte che abbraccia Emone e lo stringe e quasi lo stritola in un rantolo metallico e straniato, perché davvero quello non è un abbraccio ma un ricatto affettivo, una richiesta di complicità, un’estrema chiamata in correità e diventa ben presto una violentissima e disumanata lotta tra cani; Creonte che sgrida Antigone, la richiama all’ordine e al bon ton, Creonte che cambia continuamente le sue maschere di potere e che con una maschera addosso muore (ucciso? Forse…). La rivolta di Emone/Antigone ritorna qui con una nuova e urgente consapevolezza morale. Si va al di là di ogni lettura e riscrittura del mito: il nodo drammaturgico si staglia chiaro ed è il “Too late” (troppo tardi) del titolo, locuzione che viene tratta dal testo del Living. Troppo tardi per chi? Troppo tardi per cosa? Davvero, troppo tardi? C’è probabilmente il segno di un’amara riflessione generazionale in questo spettacolo: chi oggi ha più o meno quarant’anni anni (come Casagrande e Niccolò), chi per motivi anagrafici non ha vissuto consapevolmente gli anni delle grandi rivolte giovanili (il ’68, il ’77) in che mondo si trova a vivere oggi? Che mondo è quello in cui vede, incredulo e indignato, vivere i ragazzi d’oggi? È troppo tardi per provare a cambiarlo questo mondo? Quando sarà finalmente il momento in cui il gesto potrà corrispondere totalmente all’indignazione e la persona all’azione? Di qui anche il rifiuto dell’ironia: «…a me l’ironia fa male, anzi la odio… ce n’è sempre troppa in politica, in teatro… passeremo il tempo a studiare la tempistica delle battute»; di qui forse un’idea diversa del “too late”: sì, è troppo tardi per fermarsi a guardare le gesta e i gesti dei padri, l’ordine pieno di cose e vuoto di valori che (ci) hanno costruito, ma non è - davvero non è – troppo tardi per essere aperti a quanto di nuovo, urgente e coraggioso si muove nel mondo, per decidere di prender posizione, di scegliere da che parte stare. In questo senso, straordinariamente, Antigone è ancora un potente motore mitopoietico e politico di cui, se solo si è disponibili a mettersi in gioco, si può avvertire forza ed efficacia anche nel nostro tempo drogato di vuoto.