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Riuscita perfettamente, ad apertura di stagione, al Teatro del Canovaccio di Catania, l’operazione “Hinkemann”, testo arduo, aspro, difficile di Ernst Toller, una tragedia sociale scritta tra il 1921 ed il 1923 nel carcere di Niedenschoenenfeld, dove lo scrittore bevarese scontava cinque anni di reclusione per l'adesione alla “rivoluzione di novembre” bavarese Il lavoro nei due atti diretti, con padronanza ed acume, da Elio Gimbo, con l’adattamento e la traduzione di Giuseppe Dolei, trasferisce la vicenda del protagonista, il disilluso Eugenio Hinkemann, in un contesto contemporaneo ed europeo, ormai compiutamente sovranazionale, mantenendo però tutti i capisaldi drammaturgici dell'originale. “Hinkemann” è il primo capitolo di una trilogia dedicata all'espressionismo tedesco e che avrà come obiettivo una riflessione sui rapporti tra “società di massa” e semplificazione autoritaria, grazie anche alla consulenza dell'istituto di Letteratura tedesca della facoltà di Lettere di Catania. E proprio l’interessante stagione del teatro tedesco ha convinto il gruppo di lavoro del “Canovaccio” di Catania, guidato da Saro Pizzuto e Salvo Musumeci, a puntare ad una rilettura aggiornata, adattata ai nostri giorni, per le possibili analogie con l’attuale fase storica e con la realtà italiana, dell’opera del massimo esponente del teatro espressionista tedesco. Hinkemann, l’ex operaio, per necessità diventato quasi un fenomeno da baraccone, deriso da tutti, è una moderna figura tragica, schiacciata da una società che lo condanna al ridicolo, alla negazione di qualsiasi dignità sociale solo perché non può esercitare la propria sessualità Nel testo di Toller troviamo, come tema principale, la totale disillusione del protagonista nei confronti di qualsiasi ideale di progresso sociale all'interno di una società di massa, emerge quindi, in modo spietato, impietoso, un'analisi della nostra condizione umana dominata dal conformismo di valori e idee ridotte al rango di credenze e superstizioni ed una riflessione sui costanti rapporti tra cultura di massa e semplificazione autoritaria, rapporti destinati a renderci infelici. In una vuota e fredda ambientazione scenografica, con i costumi di Rosy Bellomia, col supporto video di Alessandro Marinaro e l’aiuto regia di Carmela Sanfilippo e Davide Fascetta, lo spettacolo si fa apprezzare, oltre che per l’originale messinscena, soprattutto per un cast affiatato e ben assortito dove si segnalano per autorevolezza un Saro PIzzuto nei panni del disperato protagonista, Salvo Musumeci nel ruolo dello spietato amico Paul e Sabrina Tellico, ben calata nei panni della moglie di Hinkemann, la debole Greta. Ben tratteggiati anche gli altri personaggi: Fiorenza Barbagallo (la proprietaria del bar), Alfio Zappal (l’impietoso direttore della televisione, con il suo assistente Gabriele Arena), Giampaolo Costantino e Nanni Battista (Max e Peter i due lavoratori al bar). Lavoro ben assemblato, adattamento intelligente e regia agile e scorrevole, tranne che nelle seconda parte che andrebbe leggermente alleggerita e sfoltita per non stancare troppo il pubblico con il filosofare del protagonista. Applausi, comunque, convinti e prolungati da parte del pubblico che ha così voluto premiare oltre che la valenza della proposta anche l’acuta regia di Elio Gimbo e la bravura di tutto il cast.