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Cominciamo dalla seconda parte del titolo. EPOPEA DEL QUOTIDIANO, la prima parola “epopea” richiama i grandi eroi del passato. L’Enciclopedia Treccani fornisce una prima definizione sintetica e chiara: «Narrazione poetica di gesta eroiche; poema epico, o ciclo di poemi, che raccoglie

in unità organica, racconti leggendarî per lo più elaborati dalla tradizione». Gilgamesh, Ulisse, Enea, Giasone, Lancillotto...Uomini armati di spada e scudo, figure mitiche, frutto di fantasia. Ma l’Epopea di Lucia Calamaro è un Epopea del quotidiano. Gli eroi sono uomini e donne del nostro tempo, che lottano per una vita normale: un lavoro sicuro, una casa sicura, una affetto duraturo. Tre personaggi due donne e un uomo, quarantenni in crisi, che cercano di “darsi da fare” di impiegare il loro tempo in modo utile e proficuo, un tempo che sta diventando perenne ricerca di un lavoro sempre più assente, vuoto e inesistente. “Questa vita gira intorno alla stesso punto”; “Incontro un tempo che si fa e si disfa senza fare niente”. Si riempiono le giornate vuote con hobby in voga ultimamente: la corsa, lo yoga, la palestra, l’orto in casa... Lucia Calamaro, coglie i dolori del quotidiano e li accompagna in scena con delicatezza e poesia, una parola scenica che gira su se stessa, come girano i pensieri quando siamo in crisi e non sappiamo a chi affidarci. Si parte dal lavoro, ma in realtà, questi dubbi, questi soliloqui, potrebbero nascere benissimo anche sulle labbra di chi, fortunato, il lavoro ce l’ha. Perché sono dubbi incertezze che nascono dalla nostra “società  liquida”, per dirla con le parole di Bauman. Una società in cui l’esperienza individuale e le relazioni sociali sono continuamente segnate da strutture che si decompongono e si ricompongono rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile. Federica Santoro, Roberto Rustioni, Lucia Calamaro interpretano in modo affascinante queste vuote relazioni. In un presente ossessivamente presente, non c’è futuro, unica speranza il presente. «Noi europei del Ventesimo secolo ci troviamo sospesi tra un passato pieno di orrori e un futuro distante pieno di rischi» I personaggi di Lucia Calamaro si aggrappano al presente, il qui ora, essenza del teatro, diventa essenza della sua stessa scrittura. In un spazio che fra il primo e il secondo tempo diventa sempre più vuoto dilatato, i colori delle scene sono l’unica sicurezza a cui aggrapparsi tuttavia vacillano anch’essi nel finale che rimane sospeso in uno scorrere di tele che anticipano la prossima epopea. I dipinti mostrano paesaggi urbani la protagonista, in ognuno, cerca se stessa invano. La recitazione in forma diaristica, toni sommessi, sguardi in basso, spalle curve, soprattutto nelle due donne che rappresentano alter ego dell’autrice, crea un effetto sognante e soffocante. Una forma molto autobiografica. Roberto Rustioni, nella parte dell’amico della protagonista, è l’anti-eroe maschile: l’uomo incerto e sognatore anche lui un ulteriore proiezione dell’autrice. Il disegno delle luci accompagna il racconto scenico con colori pastello che ricordano gli acquerelli della nostra infanzia. Infine... Lacan, che sorride, che suggerisce, fra una scena e l’altra, fra un’espressione e l’altra della scrittura di Lucia Calamaro. Lacan e la sua logica modale che ritroviamo nella sintassi della parola scenica che oscilla continuamente fra il necessario, il contingente e l’impossibile. Temi cari allo psichiatra e filosofo francese che ha saputo interpretare e incarnare le pulsioni di una società formata a immagine e somiglianza delle nostre menti, del nostro inconscio. L’inconscio strutturato come linguaggio. I personaggi sembrano tutti un po’ persi nel loro inconscio, nei loro sogni chiusi nelle loro forme di autocompiacimento. Due ore e mezza per riflettere sul nostro tempo, la versione originale nel prevedeva tre, inutile suggerire ulteriori tagli, l’autrice sogna l’epopea. L’epopea rende bene idea della molteplicità, della poliedricità in cui siamo immersi per capire che c’è un patrimonio umano da salvaguardare e interrogare criticamente. Dal diario dell’inconscio di Lacan, al Diario del Tempo, di un tempo rarefatto, di un tempo che ci riguarda molto da vicino, tutti: chi ha il lavoro, chi non ce l’ha, chi continua a cercarlo e chi ha smesso di farlo.

Milano, Teatro Franco Parenti, 30 ottobre 2014