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Cari spettatori, mi rivolgo direttamente a voi, per farvi sapere che avete ancora molti giorni per recarvi alla sala Tre del Teatro Franco Parenti di Milano (fino al 21 dicembre)  e andare a vedere un frammento di vita che è anche la nostra vita; molti giorni per godere della poesia delle parole di Hanoch Levin, per vedere una recitazione impeccabile, per scrutare una piccola stanza fra le veneziane dove un uomo e una donna si amano e si odiano, molti giorni per condividere il sogno della regia delicata e tenera di Andrée Ruth Shammah. Tempi e ritmi sostenuti.
Molti giorni... ma chi ha tempo non aspetti tempo, non fatevi prendere dalle solita accidia: lo faccio dopo ci vado domani, rimandando continuamente senza concludere nulla, perché sarebbe un peccato non godere della parola scenica di Levin declamata ad alta voce.
Hanoch Levin, uno dei drammaturghi più significativi di Israele, è nato a Tel Aviv e ha studiato filosofia e letteratura all'Università di Tel Aviv. Inizialmente scriveva poesie (questo nei suoi testi si avverte) ma poi si è concentrato sul teatro. E’ stato drammaturgo residente del Teatro Cameri di Tel Aviv e ha lavorato anche con Habimah, teatro nazionale di Israele. Levin ha scritto una cinquantina di opere teatrali. Il suo lavoro comprende commedie, tragedie, e cabaret satirici. Ha pubblicato cinque libri di racconti e poesie, e un libro per bambini. Ha ricevuto numerosi premi teatrali sia in Israele che all'estero, in particolare al Festival di Edimburgo, e le sue opere sono state rappresentate in tutto il mondo. Levin ha ricevuto il Premio Bialik nel 1994. E' morto nel 1999. Anche nel «Lavoro di vivere» come nelle altre sue opere, raccontano Carlo Cecchi e la regista, durante la conferenza stampa dello spettacolo, si apre, «all'insegna del sarcasmo più feroce» di una «disperazione paradossalmente allegra». Il duello di Yona e Leviva, due coniugi sulla soglia dei sessant'anni, la loro “relazione pericolosa” diventa teatro nel teatro: l’uomo apostrofa la moglie «stupido animale», e la donna insiste sul «pene invecchiato» del marito. Yona vorrebbe una vita nuova, vorrebbe andare via di casa accusa la moglie dei suoi fallimenti e tuttavia prova compassione per lei, sino ad ammettere che «non riesce a vivere né con lei né senza di lei».
IL LAVORO DI VIVERE è una storia d'amore fra due persone di mezza età, in cui l'amore appare a barlumi in mezzo a un mare di insulti, parole durissime e rimpianti. Ma quei barlumi, sono lampi nella notte. Yona guarda  Leviva, e in lei vede la sua terra e riflette sul legame fortissimo ha: «né con te, né senza di te», un sentimento di amore e odio per Israele e per le sue tradizioni, per la sua cultura, nelle sue opere spesso demolisce tabù, sorride sui pregiudizi ma sa avere anche compassione per quella cultura. Intorno a Yona e Leviva, la paura della morte, il rammarico di una vita passata senza raggiungere ciò che realmente si desiderava e la domanda che ognuno di noi almeno una volta nella vita ha avuto sulle labbra: “Ma che è successo? Dov’è finito tutto quello che mi era stato promesso? Dov'è finita la mia bella favola?”.
Fra queste domande spunta un terzo personaggio, un amico di Yona , rivuole il cappello che aveva prestato all’amico molti anni fa . E qui Levin ironicamente sorride su molti luoghi comuni del suo popolo... sarà l’amico a rispondere, indirettamente, alle domande dei due protagonisti. L’allestimento scenico di Gianmaurizio Fercioni, le luci di Gigi Saccomandi, i costumi di Simona Dondoni accompagnano con delicatezza il disegno della regia creando un luogo nonostante tutto accogliente, in linea con le contraddizioni del testo. Le musiche di Michele Tadini appropriate e ben armonizzate, rappresentano simbolicamente il quarto personaggio in scena: l’amore per la musica del popolo ebreo. Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto, Massimo Loreto, regalano una recitazione impeccabile, in grado di svelare sfumature di gesti, di voce, di sguardi. Usciamo dal teatro, ragazzi e ragazze travestiti da streghe maghe e zombi, nella notte di Halloween, i morti si ricordano anche così... in scena Levina accende una candela e parla con le anime dei defunti, sono sempre fra noi e accompagnano il nostro quotidiano fatto di luci e ombre.

IL LAVORO DI VIVERE
di Hanoch Levin
Traduzione dall’ebraico e adattamento Claudia della Seta e Andrée Ruth Shammah
Milano, Teatro Franco Parenti, 31 ottobre 2014