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C’era una volta, e c’è tutt’ora, un piccolo paese in provincia di Reggio Calabria, che domina la piana di Gioia Tauro, dall’alto dell’Aspromonte. Vi chiederete cosa ci facciano lì Clitennestra, Artù e tutta l’allegra brigata che anima il cuore pulsante della Residenza Teatrale Dracma di Polistena.  Vi racconteremo tutto, sulla scia della favola e del piccolo miracolo che, davvero, si sta svolgendo in Calabria.
Da un incontro fortuito e fortunato, a settembre scorso, durante l’ultimo giorno dello StartUp Festival di Taranto, residenza teatrale pugliese e luogo di confluenza di numerosi operatori del teatro, Andrea Naso e Mariella Iannello, rappresentanti e fondatori di DRACMA ( Centro Sperimentale d’Arti Sceniche), cominciano a parlarmi dell’esperienza straordinaria che si svolge da tempo in Calabria. Un mese dopo, giunge inaspettato l’invito: l’apertura di stagione, chiamata appunto LA BELLA STAGIONE,  all’interno della Residenza Teatrale della Piana “Alla ricerca del Bello perduto”, prevede anche l’attivazione di workshop dedicati alla critica teatrale. L’ANCT, l’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro conferma il patrocinio. L’invito a Polistena, dunque, è il primo di una lunga serie di presenze della critica teatrale, giovane e meno giovane, che rientra nel progetto di “educazione teatrale” del territorio, rivolto soprattutto ai giovani che ancora vivono e crescono in una zona che non ha una storica tradizione artistica. L’arrivo a Polistena è quello in un paese popoloso, ma arroccato, silenzioso. Ci si chiede cosa potrà mai produrre, artisticamente e culturalmente, un luogo come questo. Ci si ritrova a cena e a convivere con gli organizzatori,  con gli addetti stampa ( Grigioverde press, anch’essi giovani calabresi), con la compagnia che sta provando lo spettacolo che debutterà il 9 novembre. Si ritrovano vecchi amici siciliani, si conoscono giovani attori del Sud, ci si confronta su ciò che accade artisticamente nelle varie città italiane, nelle Residenze, nelle scuole e accademie. Le giornate calabresi ci mostrano la connotazione differente di questo progetto: qui non siamo critici, non siamo attori, non esiste distanza tra noi e il pubblico. Qui si fa cultura, tutti insieme. Ecco perché queste parole, che scorrono qui con grande animosità,  stavolta non sapranno solo di critica. Stavolta riporteremo vera testimonianza. A Polistena si cerca di “abituare” i giovani al teatro, non solo al luogo, al lavoro dietro le quinte ( alcuni giovani sono stati formati come fonici e tecnici), non solo alla lettura dei testi, non solo alla creazione di spettacoli, non solo all’osservazione di prodotti di notevole fattura, ma si formano i ragazzi al lavoro del teatro. Che dir se ne voglia, i tempi non ci permettono di essere ottimisti sul probabile futuro artistico dell’Italia intera, quindi, senza illudere l’uditorio dei giovani calabresi di Polistena, affrontiamo una lezione sulla storia della critica per arrivare alla critica on line. Esperienza personale e formazione letteraria, artistica e sul campo. Rispondiamo alle domande. Ci meravigliamo della loro curiosità, portiamo l’esperienza della grande città teatrale napoletana, con i pro e i contro di questo “lavoro-passione”. I ragazzi assorbono avidamente ogni parola e questo è ancor più pericoloso, soprattutto per chi ha la responsabilità di parlare e di cercare di trasmettere. Di certo i giovani che, poi, ritroviamo seduti in prima fila, all’interno dell’Auditorium di Polistena, al debutto della stagione, cominciano a conversare tra loro sugli elementi e sugli aspetti dello spettacolo che forse, adesso o in futuro, analizzeranno con più attenzione. La formazione teatrale che sottolinea ripetutamente Andrea Naso, direttore artistico della stagione, si sofferma molto anche sulla critica teatrale, poiché l’uditorio non è costituito solo da giovani ma anche da cronisti locali che di teatro non si sono mai occupati e che, invece, vorrebbero farlo. La stagione del teatro di Polistena, legata appunto alla Residenza, è ricchissima: l’apertura è dedicata allo spettacolo di Paolo Cutuli, CLITENNESTRA O DEL CRIMINE, premiato al Tindari Teatro Festival come Miglior Spettacolo e Miglior interprete e Vincitore del Premio Parodos 2014, spettacolo prodotto dalla stessa compagnia DRACMA. Nel corso dell’anno arriveranno a Polistena anche i napoletani di Punta Corsara con HAMLET TRAVESTIE, Roberto Herlitzka con CASANOVA, PATRES di Saverio Tavano, Spiro Scimone e Francesco Sframeli con LA FESTA, e Ippolito Chiarello con PSYCHO KILLER dopo il debutto tarantino. Alcuni nomi di una lunghissima stagione che vedrà in scena anche la musica, il teatro di tradizione e soprattutto i progetti rivolti ai ragazzi, all’interno del filo conduttore che è, appunto, la formazione dei più giovani. Prima di rivolgere il nostro attento sguardo alla Clitennestra di Cutuli, accenniamo al debutto de IL MENÙ DI RE ARTÙ, citato precedentemente. Da un testo originale di Marco Zoppello, la regia di Renzo Pagliaroto e la produzione DRACMA portano in scena Tino Calabrò, Lorenzo Praticò, Daniela D’Agostino. Il debutto, previsto per il 9 novembre, vedrà in scena uno spettacolo pedagogico sulle buone pratiche alimentari: assistere alle prove e gustarne l’evoluzione è stato un altro degli aspetti più sorprendenti del weekend calabrese. I personaggi della tradizione epica mostreranno, in chiave allegorica ed ironica, la pericolosità dei cibi legati alle grandi distribuzioni del fastfood straniero. Ma le sorprese non finiscono qui. Accedere ad un auditorium di trecento posti, con 150 abbonati fissi all’anno, vedere una platea piena di giovani e constatare il sold out, è occasione naturalmente di meraviglia. Da Reggio Calabria e dai paesi circostanti provengono numerosi spettatori e, a quanto pare, l’educazione teatrale funziona: per la prima volta riusciamo a non udire un solo rumore, un solo suono, nè un cellulare che squilla, né una mosca che vola. Bisognerebbe riflettere. L’attenzione mostrata dal pubblico, il silenzio dei giovani incollati con gli occhi al palcoscenico, sono tutti atteggiamenti che ci fanno riflettere profondamente. Ma è giunta l’ora di parlare della Clitennestra che ha tanto attirato gli spettatori di Polistena. Paolo Cutuli, giovane calabrese in costante contatto con gli ambienti artistici europei, interpreta Clitennestra, personaggio fondamentale dell’Orestea di Eschilo. Qui, però, il testo portato in scena è quello di Marguerite Yourcenar, tratto dalla raccolta “Fuochi” e quindi inserito in un contesto letterario novecentesco. Se nella tragedia greca l’uccisione dell’Agamennone ritrovato e ritornato era dettata dalla sete di potere politico e dalla corruzione del talamo nuziale, se nel testo eschileo il punto di vista è profondamente classico, dall’accettazione del volere divino fino all’uccisione sull’altare della figlia Ifigenia per propiziare le campagne di guerra, il testo della Yourcenar è profondamente intimista. Memore degli influssi del romanticismo ottocentesco, dell’epistolografia britannica, delle scrittrici inglesi della Victorian Age, da Emily Dickinson a Emily Bronte, il gusto francese della Yourcenar si mescola fortemente anche alle britanniche gothic novels. Cosa rimane del concetto di potere di cui parlava Eschilo? Come Cutuli riesce a elaborare una terza trasformazione, questa volta scenica, del testo originale? Una donna che vive in simbiosi con il suo uomo lontano, Agamennone appunto, ma stavolta il talamo nuziale ricorda le stanze  ibseniane di Casa di bambola. Cutuli rende atemporale, astorico, a -geografico il racconto. Una casa, una città, una stanza, una strada. Niente è certo: puro astrattismo contemporaneo. Ciò che viene estrapolato è unicamente il testo, profondamente mescolato alla sanguigna recitazione, vocale e corporea, dell’attore in scena. I personaggi sono valige, l’attore stesso interpreta Clitennestra, androgino, ibrido, dai capelli brizzolati, già vecchio, ad evoluzione conclusa. Si parte dalla fine, come nel testo della Yourcenar, in cui il pretesto della vicenda è un lungo flashback  raccontato alla Corte che accusa la donna di omicidio. Clitennestra è già vecchia, nell’attesa costante del ritorno. Le viscere, carnali e dell’anima, sono le tasche dei trolley in scena, simbolo di allontanamento, di ritorno, di lungo viaggio, durante un’intera vita. Egisto è personaggio secondario, è vittima indifesa. L’attore gioca attraverso la voce, utilizzando un microfono, come se si trovasse davvero davanti alla platea giudicatrice della Corte. Il mezzo tecnologico gli permette di riempire i vuoti e di creare momenti di passaggio temporale grazie ai suoni, come la riproduzione del rumore del vento che spazza via il tempo e gli anni, come l’abbrutimento della voce che si trasforma da femminea a mascolina, grottesca e mostruosa, proprio quando l’evoluzione e  la distruzione psichica della protagonista raggiungono la vetta più alta. In quel momento la donna è immagine unica con il suo uomo ed ecco che la sete di potere eschilea riemerge attraverso altre fattezze. Lo spettacolo è costruito non solo sul testo e sulla buona performance dell’attore, ma anche e soprattutto sull’utilizzo di frequenti effetti luministici e sonori, oltre all’uso persistente della musica. Lo spettacolo, dunque, mostra spesso delle fattezze “cinematografiche”, in cui i colpi di scena non sono solamente testuali, ma soprattutto visivi. Questo, però, comporta degli eccessi: quando la scena dell’uccisione di Agamennone si colora di rosso, quando la musica in sottofondo è quella di Marilyn Manson e si viene catapultati nel baratro più profondo dell’inferno personale, allora  l’intimismo doloroso, pazzoide, accattivante, angosciante, ironico,  descritto anche attraverso il cuore dipinto sapientemente sul petto e poi cancellato,  si trasforma in una scena da horror splatter. Forse l’immagine del Marat ucciso nella vasca da bagno, poiché proprio questo dipinto ricordavano le parole del testo, ed un silenzio assordante, avrebbero gelato il pubblico più di un corpo completamente ricoperto di sangue. Ma si sa, gli spettatori sono facilmente influenzabili dagli effetti speciali e il teatro è anche questo. E a noi lo splatter piace, invece, quando, alla fine della vicenda, il filo rosso delle viscere di Agamennone viene tirato via dalla valigia- urna mortuaria, ingurgitato e reciso dalla Clitennestra trionfatrice perdente. Proprio la conclusione appare accelerata nei tempi e nei contenuti, come se il ricco contenitore di elementi scenici, proprio alla fine, nell’immagine della mano insanguinata che anela tra le grate, avesse perduto tutto il suo potere. La nostra Clitennestra sconfitta, che non è più quella eschilea, ma è quella dei primi anni del ‘900, ricompare sulle pagine della Yourcenar riportando in luce un personaggio classico ma ormai deviato dagli effetti sull’umanità derivanti dal conflitto mondiale e dalla nuova scienza, la psicanalisi. Impossibile non farvi riferimento.
Il successo di pubblico dimostrato dagli applausi prolungati, dalla presenza, in platea, del Sindaco di Polistena che sottolinea ripetutamente il valore culturale e formativo del teatro, ci spingono ad auspicare un continuum positivo per questo faticoso progetto. Osservare il dietro le quinte, che siano quelle sceniche o quelle amministrative ed organizzative, ci dà la misura della  voglia di fare e delle immense difficoltà che deve affrontare questa emergente residenza teatrale calabrese, così come accade oggi anche in altri luoghi. Ecco perché non abbiamo parlato solo di critica teatrale ma abbiamo testimoniato, ancora una volta, le potenzialità del teatro italiano al Sud.

CLITENNESTRA O DEL CRIMINE
1 NOVEMBRE 2014
RESIDENZA TEATRALE DRACMA POLISTENA (RC)
Clitennestra o del crimine
Di Marguerite Yourcenar
Regia e interpretazione Paolo Cutuli
Produzione Compagnia Dracma