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Esistono le rose del deserto, basta poca acqua per farle aprire, mostrarsi agli altri. Brunella Ardit, autrice e regista dello spettacolo, è come queste rose. Crea rappresentazioni delicate e poetiche con pochissime risorse finanziarie, spettacoli che trattano temi etici difficili come quello dell’eutanasia. Acabar in spagnolo significa “finire” in sardo, “accabadora” è colei che finisce. Colei che allevia le sofferenze a chi sta per morire, colei che dona la “buona morte”. Agli occhi della comunità, il suo non è il gesto di un'assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta una persona a morire. Al Teatro Argomm di Milano un piccolo teatro strappato al degrado della periferia, dove una volta c’era una discarica a cielo aperto, si mette in scena il processo ad una femmina accabadora, una donna che un tempo faceva la levatrice e che diventa con gli anni artefice di un gesto estremo; chiamata dai parenti, aiuta ad accorciare l’agonia. Un giudice l’assolve ma, non svelo il finale, chiede qualcosa per sé...In scena con la donna nove anime che rappresentano il dolore, l’amore, il passaggio dalla vita alla morte, il ponte che la piccola donna con il suo gesto pietoso ha saputo creare. “Creare” parola impossibile per definire un simile gesto eppure quel gesto diventa una pietosa creazione. La delicatezza dello spettacolo è tutta nel testo che sa cogliere le sfumature di una scelta difficile, nella regia misurata e attenta, nell’interpretazione della protagonista, nella presenza delle donne che interpretano le anime defunte che respirano all’unisono. Cantano per farsi coraggio sospirano e piangono, camminano quasi in un volo, precipitano sovrastate dal silenzio intorno. La coreografia del coro è ben curata da Clara Hauff. Una croce di luce sullo sfondo ci parla della sofferenza e della morte ma anche di un cammino di purificazione, di un passaggio etico, dell’amore come dono morale, dell’amore come lotta alla solitudine. Si muore sempre da soli ma Accabadora regala carezze prima dell’ultimo respiro. Luci ombre e chiaroscuri si alternano, dialogano con il testo, giocano fra vuoti e pieni evocando atmosfere percettive; andrebbe registrata maggiormente la dinamicità di questi effetti per rendere più espressivi i passaggi narrativi. Il racconto ha una ciclicità che svela una sorpresa nel finale. Il processo alla donna è finito, Antonia è stata assolta per insufficienza di prove. Il processo è finito ma un giudice la trattiene nell’aula per interrogarla ancora: – Qui dove non ci sente nessuno e nulla di quello che mi dirà potrò usare contro di lei… se mi vorrà dire- Antonia racconta la sua vita circondata dalle anime di quelli che ha aiutato a morire. Testo vincitore del premio letterario Lago Gerundo e menzionato nel premio letterario Fersen, “Accabadora. Il processo”, è il frutto di un lungo lavoro di ricerca che l’autrice ha condotto avvalendosi della collaborazione del direttore del museo dell'accabadora di Luras, Pier Giacomo Pala, che l’ha aiutata a vedere la figura da un punto di vista storico, fornendo preziose informazioni. Gli interpreti (Aurelia Pini, Salvatore Calabrese, Carmelo Ristagno, Ivana Menegardo, Nicoletta Vitelli, Anna Maria Pensotti, Antonella Pisano, Elena Manuli, Desi Radaelli, Enza Saporito, Alessandra Cotzia, Marita Scurani) tutti all’altezza di un difficile compito: raccontare la morte in scena senza cadere nella retorica. Rammentandoci che, invece, è la più naturale delle realtà.

Milano, Teatro Argomm, 21 Novembre 2014