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Su’ddocu spettacolo perfomance ideato e realizzato da Margerita Ortolani (in scena insieme con Valentina Lupica), è un piccolo, potente, congegno teatrale che ha numeri per coinvolgere e stupire il pubblico. Lo si è visto sabato 15 novembre, col titolo “Su’ddocu!... Omaggio al soffitto n.1.1 (La reprise)”,

nello spazio della galleria d’arte contemporanea “Le nuvole”, nel cuore antico di Palermo. Si tratta di un lavoro difficile da raccontare perché, sin dalle sue prime battute, svela la sua filiazione non tanto da una concezione tradizionalmente drammaturgica e/o letteraria del gesto teatrale, quanto da una ricerca formale vera che lambisce ed attraversa i territori della poesia e della performance e prova a rapportarsi, forse già nel calembour del titolo (che significa “esse/i sono proprio lì”), col contesto vitalissimo della città e del teatro palermitano contemporaneo a partire da una voce che appare realmente autonoma. Non è facile, non è poco e che sia un lavoro in cui l’autrice si metta in gioco profondamente lo dimostra il fatto che si tratta appunto di una “ripresa” dopo un primo allestimento che risale al 2009. Un mettersi in gioco che per altro coinvolge quasi una vera e propria piccola comunità di artisti: tra gli atri, a parte Ortolani e Lupica, Vito Bartucca (per i costumi) Paolo Roberto D’Alia (per le maschere), Manfredi Clemente (per le musiche). Due donne, simili e insieme diverse tra loro (l’autrice suggerisce possano essere madre e figlia, o forse un’unica donna colta in due fasi diverse della propria esistenza), in scena dialogano, si confrontano, si scontrano vivacemente e, però, il loro parlare, il ritmo e la musicalità interna del loro parlare, la loro comunicazione verbale quasi evapora sulla soglia del senso, si disintegra nell’atto stesso del dire, mentre lascia che siano i due corpi, siano le due voci a esprimere tutto quel che è urgente e necessario dire. Urgente: autentico, necessario. È così: quelle voci rivelano l’inquietudine del loro essere implicate in una trama di suoni, echi dialettali, parole, colori e sapori che rimandano all’attuale contesto urbano di una grande città del sud (Palermo certo, ma anche oltre e più di Palermo), ma poi sanno liberarsi e librarsi, sanno raggiungere una propria voce autonoma. Un movimento solo, preciso, che, decostruendo e rifiutando ogni ovvietà, linguistica, strutturale e tematica, pone davanti agli occhi dello spettatore l’evidenza di una drammaturgia tagliente, colta senza esser pedante, autonoma: una drammaturgia del desiderio, dell’ironia e dell’inquietudine il cui senso e la cui profondità stanno prima e dopo le parole che la occupano senza esaurirla.

 

FOTO DI TAZIO IACOBACCI