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Ribaltamento e trasformazione: entrambi i termini indicano il concetto di “cambiamento”. Ma attenzione. Il primo, secondo un’accezione negativa, evidenzia ciò che è cambiato e che non segue più il suo corso tradizionale, quello più giusto e coerente. Il secondo, “trasformazione”, auspica speranza, quindi un cambiamento che dovrebbe portare ad un’evoluzione, ricostruendo sulle disastrose ceneri di un popolo. Al centro una “conca”, un fossato in cui si rimescolano passato e futuro, in cui ribolle tutto, si scioglie, affiora, si appiglia, rigurgita, gorgoglia. Anime del purgatorio dentro un pentolone diabolico, doloroso e sofferente, che è la città di Napoli del secondo dopoguerra. Abbiamo cominciato dalla fine, per mostrare e fissare nella mente del lettore i due punti di vista, inevitabili ma efficaci, attraverso cui leggere questo spettacolo. Che non è solo performance, ma bensì la messinscena è dimostrazione di un lungo percorso e di una lunga evoluzione testuale, da cui si deve partire e a cui si deve far inevitabilmente riferimento. Il testo di Enzo Moscato, SIGNURÌ, SIGNURÌ, contenuto nella raccolta ORFANI VELENI, e portato in scena per la prima volta nel 1982, nasce come opera corale in cui i giovani - nell’82 quelli del Liceo “Mercalli”, oggi quelli del laboratorio teatrale afferente alla scuola del teatro Elicantropo di Napoli -, sono i protagonisti attoriali: più di un mese di repliche, dal 10 ottobre al 30 novembre, cast numerosissimo, vista la presenza di tutti i personaggi indicati da Moscato.  Carlo Cerciello ha avuto la possibilità di lavorare a fondo sul testo, attraverso uno spettacolo in cui si ascolta incessantemente l’eco di tutta la drammaturgia moscatiana; ma soprattutto ha avuto la possibilità di disporre di giovani voci, e di grandi promesse che, pur nella giovinezza dell’esperienza attoriale, portano in scena una macchina collaudatissima.  Ritorniamo al testo: quello moscatiano a sua volta nasce da una libera rilettura de LA PELLE di Curzio Malaparte,  romanzo del 1949, che in realtà ne è profonda ispirazione. E in effetti il testo di Malaparte, cognome che ritorna all’interno del copione moscatiano, attraverso il personaggio-narratore-coro-deus ex machina, è profondamente doloroso. L’attenzione antropologica, sociale e storica rende “La pelle” un romanzo di grande spessore, e tra le parole e le pagine sgorga incessante il dolore di un popolo venduto e venditore. Una pagina sanguinolenta della storia di Napoli, una ferita mai cicatrizzata e putrefatta. La Seconda Guerra Mondiale e la liberazione americana appaiono attraverso immagini differenti: i bombardamenti che hanno afflitto e smembrato i luoghi delle città e i corpi dei suoi cittadini, la “malattia” della sopravvivenza instillata non più dalla povertà e dalla fame, ma dal senso di sconfitta e di sottomissione al nuovo Padrone, “made in U.S.A.”, che per molto tempo dominerà il golfo di Napoli. La sottile ironia che affiora, amarissima, tra le pagine firmate da Malaparte, diventa, invece, elemento fondamentale di cui si ciba il testo di Moscato. I bambini, i travestiti e gli omosessuali, le donne, personaggi di un presepe sfatto e maleodorante, ma fondamento della cultura e della letteratura partenopee, diventano le solide basi del testo teatrale. Esso è diviso in sezioni, quadri che si aprono all’interno dei tuguri, finestre che sbirciano dentro il lerciume dei luoghi poveri, di quelli artistici, delle case borghesi, dei vicoli: La Vergine di Napoli, Sciuscià, Il mercato, Il bordello, I mendicanti, Il Cafè Chantant, La figliata, La Sirena, Le nane, La cena. Lo spettacolo, che nelle didascalie moscatiane protende per le uscite e le entrate lente, nella versione laboratoriale di Cerciello assume ritmi incessanti, incastri perfetti tra testo ed immagini, tra movimenti e cambi di quadri: da un lato, dunque, scelta inevitabile visto lo spazio ridotto e quindi impossibile trattenere in scena molti personaggi, dall’altro volontà di portare il tutto ad una velocità che centrifuga, mescolando gli elementi, i colori, le parole, il dolore, di questo immenso baraccone che è la Napoli dell’umanità intera. La sensazione di un enorme circo teatrale in cui si mettono in mostra i tasselli di una civiltà ricchissima, e di una cultura multietnica, si evince subito, sin dall’inizio, dal riferimento alla Babele linguistica ed umana, dal multilinguismo napo-americano, dalla compresenza di personaggi “umani”, reali, immaginari, mitologici. Le prostitute e i loro “capelli biondi” da applicare al pube per piacere ai “negri” americani, souvenir indossato al polso da Liz e Bill, i due turisti statunitensi, stolti e disneyani, voluti da Moscato e accentuati nella loro idiozia dalla regia di Cerciello. Bigiù, con il suo secchio  dove sciogliere i preservativi, riferimento al bellissimo testo “Luparella”, Anna e la sua nenia da bordello, che ricordiamo anche in “Pièce Noir”, la monaca corrotta, che ricorda la più recente “Palla di stocco”, nell’ultima pubblicazione moscatiana “Tempo che fu di scioscia”, edita da Pironti. E poi la mitologica Sirena Partenope che ammalia i marinai, ricordando le più comuni storie legate alla tradizione orale marinaresca del Mediterraneo e del Regno delle Due Sicilie, tra Omero e Colapesce: simbolo di una città bellissima che innamora, ma che muore, imbrigliata nelle sue stesse corde. E ancora “la figliata”, il parto mascolino che Malaparte descrive egregiamente, attraverso un verismo surreale di grande suggestione - e che Moscato, invece, riduce fortemente -  fino al bellissimo monologo di Pulcinella/Zeza, che Cerciello modifica nella messinscena. Se da un lato tutto lo spettacolo raggiunge dei ritmi velocissimi, ciò che Moscato, secondo tradizione, descrive, “zompante” e saltellante, è proprio Pulcinella. Ma in questo spettacolo Cerciello costruisce il dolore di una città attraverso una scelta interessante: Pulcinella, e il suo alter ego femminile, la Zeza, sono entrambi interpretati da una sola giovane attrice, in un lavoro recitativo e molto complesso, di cui la ragazza è fortemente caricata. Pulcinella/Zeza  è seduto su una sedia a rotelle: doppio abito, doppia faccia, doppia maschera. Il dualismo di una città duplice e bifronte è paralizzante e a sua volte immobile. Pulcinella, fondamento di questa cultura, è decadente. Ricordando le immagini del testo di Libero Bovio dedicato al Pulcinella morto, e la scelta di Igor Esposito di rappresentare Clitennestra-Egisto attraverso il Peppino Mazzotta di “Radio Argo”, anch’egli seduto su una sedia a rotelle, anche lui simbolo di una decadenza, Cerciello interpreta a fondo il senso del testo moscatiano. Apparenza e dolore in un grande mercato che è il palcoscenico umano. Riesce a coordinare numerosi giovani in un lavoro che, malgrado qualche incertezza recitativa, di certo invisibile al pubblico di non addetti ai lavori, realizza un  prodotto complesso, ben interpretato, coinvolgente, sia per gli occhi che per la mente. L’introduzione delle musiche, non descritte nelle didascalie moscatiane, ma qui curate elegantemente da Paolo Coletta,  le scene realizzate dagli allievi del III anno di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, i movimenti coreografici di Cinzia Cordella, tutto questo riesce a dar vita ad un ottimo lavoro che non può più essere considerato l’esito di un semplice laboratorio teatrale. Luci e nebbia, aperture delle porte sul fondo con fasci bianchi che squarciano l’atmosfera ovattata,  chiaroscuri che evidenziano membra e visi come nei dipinti barocchi, grotteschi e caravaggeschi, o nelle sculture di Gemito di fine Ottocento. La domanda che ci poniamo, adesso, è: rivedremo mai sulle scene italiane questo spettacolo, fuori dai confini napoletani? Questo lungo e complesso lavoro avrà la giusta visibilità anche fuori dalle scene dell’Elicantropo?

Signurì, Signurì…
di Enzo Moscato
liberamente tratto da LA PELLE di Curzio Malaparte
Teatro Elicantropo Napoli
10 ottobre-30 novembre 2014
adattamento e regia Carlo Cerciello
con gli allievi del Laboratorio Teatrale Permanente: Lisa Abategiovanni, Paolo Aguzzi, Rossella Amato, Gianmarco Ancona, Sara Balestreri, Giuliana Ciucci, Viviana D’Agnello, Ida de Rosa, Luciano Dell’Aglio, Donatella Di Ruocco, Alex Faienza, Fabio Faliero, Claudio Fidia, Gaetano Franzese, Claudia Gilardi, Vincenzo Liguori, Lucia Lombardi, Serena Mazzei, Giovanni Meola, Sara Montegrosso, Francesca Morgante, Giuliana Orlacchio, Federica Pirone, Eleonora Ricciardi, Sefora Russo, Pasquale Saggiomo, Filippo Stasi, Fiore Tinessa.
Elaborazione musicale Paolo Coletta
Mov. Coreografici Cinzia Cordella
Aiuto regia Aniello Mallardo
Direttore tecnico Marco Perrella
Ass. regia Tonia Persico, Jack Hakim
Elementi scenici a cura degli allievi del III anno di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Napoli
Produzione Teatro Elicantropo Anonima Romanzi e Prospet
Foto di scena Andrea Falasconi