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Proseguo ad esaminare gli spettacoli andati in scena al VIE Festival di recente proposto, per oltre due settimane, da ERT - Emilia Romagna Teatro in vari spazi disseminati in un’area di centri cittadini con a capo Modena e Bologna. Scritto dei primi lavori scenici a cui ho assistito,

(leggi) vado ora a riferire di quelli visti nella settimana susseguente, in corrispondenza peraltro con le repliche date a fine novembre (presso il modenese Teatro Storchi) del MARAT / SADE, adattato e diretto da Nanni Garella per il suo gruppo di attori “matti”, di cui dirò in conclusione d’articolo.
Ma in replica italiana in quel di Pontedera, dopo l’esordio nazionale all’ombra della Ghirlandina, nei giorni scorsi c’era anche AH/HA: mirabile creazione coreografica di Lisbeth Gruwez (storica performer del grande Jan Fabre), strutturata sul design sonoro di Maarten Van Cauwenberghe, raccolto sopra un tappeto verde dove cinque personaggi – vestiti e pettinati in maniera quantomeno eccentrica – appaiono inizialmente immobili in strambe pose. Sennonché, grado a grado, una musichetta iterativa dal piglio sgangherato, ticchettante e rumoristico, ascende smuovendo tali statue viventi che all’unisono – e pure diversamente – si molleggiano in crescendo e poi in diminuendo o in stop (secondo la musica, svariante in seguito tra pestate di tastiere e note di chitarre), compiendo talvolta improvvisi scatti e scarti oppure raggruppamenti, animandosi altresì talmente da assumere l’aspetto di un Cartoon stile Looney Tunes. Del resto è proprio sul Riso – enfatizzato e deformato ed alfine rovesciato, per esplorarne così ogni piega, dettaglio e possibile contraddizione – che converge il fremente mobilitarsi dell’insolito quintetto: con delle parentesi in cui sguainano la bocca in smorfie di sorrisi e, altrimenti, in calcate risate rivolte agli spettatori; per tacere delle posture e dei gesti stravolti e spostati che assumono i differenti corpi, capaci anche di effusioni e strusciamenti vicendevoli. Perché, in verità, la risata è indagata in quanto modo e forma di relazione tra le persone; sistema dai meccanismi nascosti eppure – ça va sans dire – efficaci e precisi nel calibrare una varietà di aggregazioni, da cui fare scaturire un interscambio fervido di sentimenti non mediati dai diaframmi della condotta sociale. Tanto da favorire una ricomposizione di emotivi allineamenti e connessioni pacificate tra individui, nella ridda frastornante della rumorosa società contemporanea (inquinata, com’è noto, pure a livello acustico). Per questo il finale accoglie i magnifici cinque frontali e affiancati in piedi nella luce della ribalta allorché, dagli ultimi suoni della composizione di Van Cauwenberghe, s’innesca l’audio della romantica HELLO cantata da Lionel Richie che difatti recita “Hello. Is it me you’re looking for?”, mentre i loro sguardi planano con rischiarata quiete verso di noi seduti in platea: a cercare un riscontro denso di affettive intensità e trovando, non per niente, il calore convinto di sentiti applausi.
Battimani più tiepidi e qualche fuga anzitempo dalla platea, hanno salutato invece YOU ARE MY DESTINY Lo stupro di Lucrezia (foto di Brigitte Enguerand): nuovo spettacolo – con mega-produzione internazionale alle spalle – della catalana Angélica Liddell, pluripremiata e incensata artista che nella fattispecie reinventa l’antica vicenda mitica dell’onesta Lucrezia, violata dal figlio dell’ultimo imperatore di Roma. Vestita con un abito d’azzurro hollywoodiano e una giacca di pelle nera, la Liddéll apre la sua forsennata traversata dentro una purezza e un animo violentati leggendo un testo che ricolloca il tutto in una Venezia onirica e sacrale, da cui emergono a intervalli i cori orientaleggianti di un distensivo (e valente) trio ucraino. La donna recita in italiano con un piglio svagato e straniante, aggirandosi nello spazio presto invaso da orde di uomini recanti frastuono a suon di percussioni su tamburi e sbattimenti di stracci, fra un rintronare di canti e grida d’assieme, trasmettendo anche sofferenza con l’assunzione prolungata di una sfinente postura a gambe piegate contro la parete – sovrastata da archi – in fondo al palco. Urla e vocia incitante anche la protagonista, alzando braccia al cielo, muovendosi e strisciando invasata in mezzo alle scene di gruppo, oppure osservando da un angolo altri frame dall’impronta composta e nondimeno funebre: siano sfilate d’innocenti fanciulli già da ammaestrare e incappucciare, per mano del coartante potere del sviato mondo adulto; o parate di un suo silente doppio femminile vittima di scambi tra uomini, denudamenti scabri, cambi di costume, lavacri ed unzioni, preparatori a una sorta di nozze nella morte che la restituiscano all’identità di un destino da far rifiorire nell’altrove immacolato del Mistero. Lo spazio scenico s’inonda sovente di sanguigne luminosità alternate a ricorrenti gradazioni semioscure, su cui si rifrangono ogni tanto rintocchi di campane che accompagnano – altresì ascendenti – taluni passaggi interpretati dalla scatenata catalana nel segno dell’esasperazione vocale e gestuale. Sulle onde delle sue fiamme, ella invoca perciò la vicinanza di una presenza che sappia superarsi negli slanci d’amore; tanto finanche da riabilitare la figura dello stupratore, perché costui perlomeno ha voluto proprio lei per vivere un istante d’amore senza ricorrere alla mediazione infingarda di retoriche e prassi a cui ricorrono coloro che l’abbinano a parole puttane quali Patria e Governo, Politica e Guerra, con tutto il loro specioso armamentario correlato. Ed è forse questo il momento più forte e intenso dell’opera che, per il resto, si attorciglia nelle sue ellissi drammaturgiche esibendo lo smarrimento ubriaco dell’anti-eroina di un nostro frastornato tempo, la quale non pare cercare redenzione o solidali empatie bensì – ad onta del conclamato e apparente mood trasgressivo e controcorrente – una lontana misura, un’indicibile armonia e una guida a cui ancorarsi in un mondo totalmente ribaltato nelle sue coordinate d’impossibile senso. E a far tralucere ciò, sono giusto l’imperturbabile colonnato antico sito sul fondo su cui tutto riverbera e si contiene, i coesi cori melodici del trio ucraino che giungono a suturare parti e passaggi, nonché la spiazzata automobile che entra alla fine sul lato sinistro della ribalta con sopra un defunto ed enorme leone alato. Lo sprigionarsi accorato (e cantato) della ‘Pursuit of Happiness’ di YOU ARE MY DESTINY – by Paul Anka – sembra inchiodare gli astanti a un martirio senza un fine, nell’eclissarsi fioco di un sogno d’autenticità in cui provare a perdersi per ritrovare un lume di Felicità che appartenga a ognuno veramente.
Da una Felicità sognata (o forse no) a una reclamata, gridando risoluti la propria indomabile ansia di equa Libertà nella sfera quotidiana, il passaggio è dato dal gruppo di attori-pazienti dell’associazione Arte e Salute Onlus che, da quindici anni, Nanni Garella conduce con inesausta tenacia inventiva all’interno del progetto “Teatro e Salute mentale” coordinato con l’USL di Bologna. Ed è con un testo cult della rivolta teatrale sessantottesca che il regista molisano dà forma e sostanza agli empiti suaccennati, cimentandosi col metateatrale LA PERSECUZIONE E L’ASSASSINIO DI JEAN-PAUL MARAT “rappresentati dagli internati dell’ospedale di Charenton sotto la guida del Marchese di Sade” di Peter Weiss (foto di Raffaella Cavalieri). Avvalendosi della bravura di Laura Marinoni per il ruolo di una depressa infanticida che – nella rappresentazione inscenata dentro la rappresentazione stessa – impersona la figura di Charlotte Corday (l’assassina di Marat, divenuto eccessivo nelle sue azioni di difesa della rivoluzione francese), Garella incarna a sua volta il Marchese de Sade, stretto in una camicia di forza mentre la mise en scène da lui orchestrata nel manicomio si svolge intorno coinvolgendo i restanti degenti – previsti dal copione – impegnati a recitare altri personaggi della storica vicenda. Questi ultimi, si è detto, sono pazienti psichiatrici effettivi che animano lo spettacolo con perizia recitativa scandendo vigorosi le loro parti intese a fare emergere, alfine, come non sia affatto finita la Rivolta per creare una società libera da ipocrite violenze culturali ed oppressioni sterili contro il diverso, il meno abbiente, il povero di forze e cose ma non sprovvisto d’etica (si veda Marat che scaglia strali verso corrotti, banchieri, finanzieri, industriali; Sade, da par suo, nei riguardi di patriottici e fautori delle guerre giuste e gloriose). La Rivolta non è finita perché è soltanto esaurita: ossia cova, riposa sottopelle in attesa di “voltare nuovamente” (com’è inscritto nel suo significato) il verso e l’estrinsecarsi delle sue istanze nel corso del Divenire, secondo quelle nobili esigenze vive e intime, psichiche e non solo materiali, delle persone tutte. E lo si avverte nell’osservare la recitazione sadiana di Garella pervasa di fibrillazioni trasudanti comunque dalla sua bianca camicia di forza; oppure dalla reiterante sovreccitazione che talune scene dichiarano negli apici di esaltazione libertaria degli attori, tanto da far sbottare colei che impersona la dottoressa dell’ospedale di Charenton affinché si rientri nei ranghi. La grata posta davanti al palco ci separa da tali personaggi pullulanti di smanie di vita rinnovata e più pura, mentre allegre musiche anti-retoriche cantano in merito ai “leccaculo della borghesia” e a “Cos’è una rivoluzione senza un’universale copulazione?”, oltre al conclusivo “E se siamo chiusi qua, noi vogliamo intera la Libertà!” invocata addosso alle inferriate. Questo spettacolo perciò diventa sorprendentemente necessario in un frangente nazionale, qual è quello attuale, in cui il Dissenso (espressione, va da sé, di diversità) è bandito o reputato affare “secondario” dai nostri gloriosi regnanti: ben attenti a tenere controllata, o a tacitare a priori, ogni manifestazione non omologata e indocile alla corrente a senso unico indotta dai loro beneamati privilegiati. Uno spettacolo necessario due volte, allora. Non solo per i cosiddetti malati, protagonisti del lavoro e delle cure rese loro tramite l’apporto penetrante ed empatico delle arti teatrali, quanto piuttosto (se non soprattutto, direi) per i sani: diffusamente intontiti oggigiorno – come neanche la Charlotte Corday di Weiss sarebbe – in uno stato vegetativo di disfunzione cognitiva tale da non riconoscere per nulla la soppressione in atto di libertà, tutele e sacrosanti diritti, perpetrata dai re e reucci vari che fra battute, sorrisi, schiamazzi, gelati e confondenti slogan, ci governano o in altre parole se ne fregano di noi.

[CONTINUA]

AH/HA
Ideazione e coreografia: Lisbeth Gruwez.
Drammaturgia del suono e assistenza: Maarten Van Cauwenberghe.
Luci: Harry Cole.
Stylist: Catherine Van Bree.
Supervisione artistica: Bart Meuleman.
Interpreti: Mercedes Dassy, Anne-Charlotte Bisoux, Lisbeth Gruwez, Vincente Arlandis Recuerda, Lucius Romeo Fromm.
Produzione: Voetvolk vzw.
Coproduzione: Rencontres choréographiques internationales de Seine-Saint-Denis, Next Festival, Theater Im Pumpenhaus, Théâtre d’Arras / TANDEM ARRAS-DOUAI, Dampfzentrale, Le Triangle – scène conventionnée pour la danse-Rennes, Théatre La Bastille, Les Brigittines, AndWhatBeside(s)Death, MA – Scène nationale de Montbéliarde, Troubleyn | Jan Fabre.
Prima rappresentazione italiana: Modena, Teatro delle Passioni, 14-15 ottobre 2014.

YOU ARE MY DESTINY (Lo stupro di Lucrezia)
Testo, regia, scene e costumi: Angélica Liddel.
Luci: Carlos Marquerie.
Costumi: Pipa & Milagros.
Interpreti: Joele Anastasi, Ugo Giacomazzi, Fabián Augusto Gómez Bohórquez, Julian Isenia, Lola Jiménez, Andrea Lanciotti, Angélica Liddel, Antonio L. Pedraza, Borja López, Emilio Marchese, Antonio Pauletta, Isaac Torres, Roberto de Sarno, Antonio Veneziano e i cantanti ucraini Anatolii Landar, Oleksii Levdokimov, Mykhailo Lytvynenko.
Produzione: Iaquinandi, S.L. Prospero (Théâtre National de Bretagne - Rennes, Théâtre de Liège, ERT - Emilia Romagna Teatro, Schaubühne am Lehniner Platz, Göteborgs Stadsteater, World Theatre Festival Zagreb, Festival of Athens and Epidaurus).
Coproduzione: Odéon - Théâtre de l’Europe, Festival d’Automne, deSingel Internationale Kunstcampus, Holland Festival, Le-Parvis Scène Nationale Tarbes Pyrénées, Comédie de Valence - Centre dramatique national Drôme-Ardèch.
Prima rappresentazione italiana: Modena, Teatro Storchi, 16-17 ottobre 2014.

LA PERSECUZIONE E L’ASSASSINIO DI JEAN-PAUL MARAT
“rappresentati dagli internati dell’ospedale di Charenton sotto la guida del Marchese di Sade”
di Peter Weiss.
Adattamento e regia: Nanni Garella.
Costumi: Elena Dal Pozzo.
Musiche: Saverio Vita.
Interpreti: Laura Marinoni, Nanni Garella, Nicola Berti, Giorgia Bolognini, Luca Formica, Pamela Giannasi, Maria Rosa Iattoni, Iole Mazzetti, Fabio Molinari, Mirco Nanni, Lucio Polazzi, Deborah Quintavalle, Moreno Rimondi, Roberto Risi.
Produzione: ERT - Emilia Romagna Teatro, Arte e Salute Onlus.
Prima assoluta: Bologna, Arena del Sole, 15 ottobre 2014.

LINKS per materiali, informazioni e tournée:
www.viefestivalmodena.com
www.emiliaromagnateatro.com
www.voetvolk.be
www.arteesalute.org
www.arenadelsole.it