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Scimone e Sframeli finalmente in Campania. Parliamo di Spiro Scimone e di Francesco Sframeli, l’uno autore e attore, l’altro compagno fedele di palcoscenico, ospiti della settimana dedicata alla particolare drammaturgia che li contraddistingue. Organizzatore dell’evento e fondatore dell’associazione ERRETEATRO, Vincenzo Albano riporta a Salerno la seconda edizione di TEATROGRAFIE, momento artistico e culturale che ripercorre un particolare progetto legato alle arti. Punto di partenza fondamentale è appunto il teatro, dalla cui visione e lettura scaturiscono emozioni e nuove creazioni artistiche, legate alla fotografia, alle immagini e a nuove ed inimmaginabili evoluzioni della scrittura. Il titolo della seconda edizione è appunto TRA PENSIERO CRITICO E STRANIANTE EVASIONE, e si articola attraverso appuntamenti importanti che coinvolgono il pubblico, anche dei più giovani, e soprattutto un territorio avvezzo al teatro, ma curioso di scoprire la drammaturgia contemporanea siciliana. Scimone e Sframeli sono appunto messinesi e debuttano nel 1994 con il testo NUNZIO, per la regia di Carlo Cecchi, in lingua siciliana. Da quel momento il susseguirsi di premi, festival e di presenze all’Estero non ha tregua. Dopo l’esperienza della visione di “Nunzio”, nella città di origine, a Messina appunto, nel novembre 2013, all’interno della rassegna LA PRIMA VOLTA , il primo contatto con la compagnia Scimone/Sframeli genera curiosità. Due anni dopo ci ritroviamo in terra campana, all’interno del Teatro Nuovo di Salerno: NUNZIO in scena il 3 dicembre, e BAR, di cui parleremo approfonditamente, in scena il 5 dicembre. Il piacevole incontro con Scimone e Sframeli ha un’anteprima, all’interno dell’Università degli Studi di Salerno, dove, il 3 dicembre, la prof.ssa Antonia Lezza, docente di letteratura italiana e letteratura teatrale, e lo stesso Vincenzo Albano, hanno condotto l’intervento dei due artisti. Piacevolmente sorpresi dall’attenzione degli studenti, gli attori hanno ribadito l’importanza della scrittura drammaturgica, ma soprattutto dell’allestimento scenico, dello studio e del lavoro compositivo che vive dietro le quinte. L’acceso entusiasmo mostrato da Spiro e Francesco coinvolge tutti i presenti, dai docenti, ai critici, e soprattutto agli studenti stessi. Platea partecipe anche durante lo spettacolo BAR, con la regia di Valerio Binasco. La scrittura di Scimone è cadenzata, ritmata, e sarebbe impossibile portarla in scena se tra i due artisti non ci fosse un’osmosi perfetta. Durante l’incontro universitario, proprio Sframeli si è soffermato sulla “ritmicità” di questo tipo di scrittura, apparentemente arida, apparentemente bloccata tra il “botta e risposta”. Leggere il testo e, poi, assorbirlo nella sua evoluzione scenica è necessario, soprattutto per questa drammaturgia. Scorrere attentamente il testo rende il senso della narrazione, dei personaggi, delle parole chiave, ma la ritmicità, di cui sopra, è trasmissibile solo attraverso la scena. Frasi e parole che si agganciano nella conversazione tra i due, raggiungono picchi, si “appoggiano”, si mescolano: ogni conclusione di una frase è già inizio della risposta. I due personaggi vengono collocati nel retrobottega di un bar: luogo identificativo e scarno, il “dietro le quinte” simbolico della vita stessa. Ma soprattutto il “dietro le quinte” dello stesso personaggio che, incessantemente,  viene sdoppiato in un alter ego; così come in “Nunzio”, anche in “Bar”. Tra vita solitaria e semplicità della miseria, i due cercano di cambiare il corso della loro esistenza attraverso il gioco clandestino, ricordando il tema del “play” metaforico. L’ingenuità dimostrata dai due è fondamentale nella descrizione di queste storie atemporali, caratterizzate specificatamente dalla lingua, il dialetto messinese epurato ( basti pensare la duplice pronuncia di “bratta” e “scarafaggio” per far comprendere meglio ad un pubblico  non siciliano); ma la straordinarietà sta proprio nel fatto che il pubblico, dopo le prime battute, non consideri assolutamente la lingua. La reazione degli spettatori salernitani è inaspettata: ridono. La drammaticità profonda di questo testo sta proprio nella risata, anche se in vari contesti la reazione del pubblico è naturalmente diversa, alternando silenzi e risate moderate. Qui invece si ride apertamente. E proprio i silenzi, che Spiro e Francesco “recitano”, nel verso senso della parola, costituiscono le importanti pause della partitura musicale-testuale di cui i due artisti hanno ripetutamente parlato, durante l’incontro universitario. Il silenzio si deve sentire, in scena ha uno specifico ruolo. L’attenzione ai sensi, e quindi all’udito, è dimostrato dal fatto  che tutto ciò che rappresenta il mondo esterno è identificato attraverso i suoni e non visto: il campanello della porta del bar, il clacson, i rumori dietro le quinte, di queste quinte che sono già sceniche. La scena è caratterizzata da una parete rosa: in alto a destra una finestrella, una scala. Quale immagine più ricorrente se non quella di Clov che osserva il mondo alla finestra, riferendo al cieco Hamm cosa stia vedendo. Beckett e “Finale di partita” sono un riferimento dovuto, così come quello a tutto il Teatro dell’Assurdo a cui Spiro e Sframeli ribadiscono di far riferimento, pur con un’evoluzione prettamente originale. Ambienti serrati di stampo pinteriano che rappresentano la psiche del personaggio, scissa in una figura duplice, quella del “tipo” sveglio che si fa fregare, e quella del “tipo” ingenuo, infantile, che invece capisce tutto. L’umanità intera, insomma, descritta attraverso personaggi-macchiette, e uno di essi degenera nella caratterizzazione infantile più profonda. Storie semplici, attraverso la scrittura scarna, ridotta all’osso, nonostante l’inserimento di tipiche frasi o modi di dire siciliani, che colorano alcuni momenti. Anche la coloritura della scrittura, soprattutto in alcuni punti fondamentali dello spettacolo, è sintomo della ritmicità insita nella struttura profonda del testo. È  importante l’oscillazione delle parole e delle “tonalità”, portando l’attenzione del pubblico ad un’attesa costante, a picchi di curiosità, a decadenze profonde. Nell’apparente aridità testuale, gli “accenti” di questa partitura sono proprio gli oggetti, apparentemente banali: la bottiglia e il riferimento al “bere troppo”, che trasporta la storia in un’offuscata identificazione onirica, l’orologio fermo, ancora una volta sintomo dell’atemporalità, e la giacchetta, mascheramento e aspettativa di una vita migliore, che mai ci sarà. Testo circolare che ritorna al punto di partenza, esattamente come “Nunzio”, ma che in realtà rimane aperto, in un senso di attesa costante, anch’essa beckettiana,  per imprimere nello spettatore il senso di involuzione, o di evoluzione fallita.

TEATROGRAFIE II edizione
Salerno 2/5 dicembre 2014
SPIRO SCIMONE  FRANCESCO SFRAMELI
TRA PENSIERO CRITICO E STRANIANTE EVASIONE
ERRE TEATRO
in collaborazione con PURA CULTURA
ideazione e direzione artistica di Vincenzo Albano
BAR
Teatro Nuovo Salerno 5 dicembre 2014
di Spiro Scimone
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone
regia Valerio Binasco

Foto Andrea Coclite