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Lorenzo Di Donato, Davide Forini, Camilla Turrini raccontano una storia di emarginazione, solitudine e amore e lo fanno con il corpo e l’anima. Lo spettacolo, Amore, parla a tutti noi senza parole. Parlano i corpi, i gesti, le espressioni del viso dei tre giovani attori all’altezza del compito (brilla in modo particolare Camilla Turrini), sanno trasmettere tutte le parole necessarie senza mai articolare suoni complessi. Si recupera un linguaggio antico gutturale, quasi infantile...Nina, una giovane prostituta si occupa del fratello Theo, autistico, ama Chet uno spacciatore. Nina si prostituisce per mantenere entrambi e sostenere le spese delle medicine che occorrono al fratello. Nina pazza d’amore, Nina che vediamo volare fra i due uomini, fra l’uno e l’altro abbraccio, fra il desiderio di normalità e il baratro che l’attende, Nina piccola e sorprendente. Una storia senza parole: suoni, rumori e musica determinano i momenti scenici. Versi, risate, respiri, gemiti e urla soffocate sul nascere, azioni ripetute in modo ossessivo quasi grottesco e oggetti che prendono anima e raccontano la loro storia: preservativi, cellulari, siringhe, oggetti usati e abbandonati in giro. I tempi di pausa tra le diverse sequenze sono occupati dalle scelte musicali accurate e ragionate, le configurazione dei personaggi sono accentuate dai rumori e dalla musica. Lo spettatore resta rapito e attento per tutto il tempo, è invitato a compiere operazioni mentali continue di interpretazione e reinterpretazione del testo e del metatesto corporeo, uno stimolo continuo che produce effetti di riconoscimento e reazioni affettive e fisiche. Occorrerebbe ancora lavorare sulla corporeità recuperando le lezione di Barba con minimo sforzo fisico si rende il massimo sulla scena, ricorrendo ad uno studio accurato sulla corporeità: alterazione e opposizione come nella danza, semplificazione degli equilibri e della gestualità per raggiungere la massima espressione. Luca Pasquinelli, giovane regista, firma drammaturgia corporea e regia. E regala momenti di poesia. Il bianco intorno che avvolge gli interpreti ci parla di desiderio di purezza ma anche dell’ambiguità dei sentimenti l’amore e l’odio il bene il male le gioie e i dolori. La scena si apre come un insieme di file che si accendono e si spengono e appaiono sulla scena (il desktop della vita) con una forza improvvisa, s’impongono quasi al nostro continuo consumo di indifferenza, basta un clic e si apre un mondo fatto di disperazione ed emarginazione. La regia semplifica e lavora sulle ragioni dell’anima, non si cade mai nel facile pietismo poiché la recitazione abilmente viene indirizzata verso una corporeità cruda che evapora come in un sogno che ci spinge a capire la realtà senza pretendere di copiarla. Si segue un’impostazione estetica senza trascurare concretezza. Si riflette sul dolore e sul bisogno d’amore. Come si va verso l’amore? Come si va verso l’acqua, momento metaforico per eccellenza: tremando per la disperazione come nel caso di Nina, sorridendo con lo sguardo incuriosito di un bambino come fa Theo, con prepotenza e odio come nel caso di Chet, perché la vita non ci ha regalato nulla.

Milano, TEATRO FRIGIA 5, 11 Dicembre 2014