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Un salto nelle pagine di cronaca dei nostri giornali, tra la vana speranza di chi, fuggendo dall’orrore del proprio paese, perde spesso la vita o la propria dignità ed inseguendo un sogno per tirarsi fuori dall’oblio della cattiveria umana, trova invece l’indifferenza di chi si è ormai adagiato al consumismo, ai luoghi comuni, ad una comodità dettata dall’egoismo e dal perbenismo. Uno sguardo analitico alla povertà, ai bisogni, alla voglia di rivalsa e di speranza dei tanti migranti che, tra mille umiliazioni e sacrifici, si muovono dal proprio derelitto e crudele paese, su barconi squinternati guidati da sfruttatori violenti e senza pietà, verso una realtà corrotta dalla superficialità e dalla cultura del benessere in cui un uomo vale per quanto possiede e non per ciò che è.  Su tali temi ed aspetti si sviluppa l’atto unico, scritto con abilità da Gianni Clementi, “Finis Terrae Lampedusa”, proposto al “Verga” di Catania, all’interno della stagione di prosa 2014-2015, per la regia e l’ideazione di Antonio Calenda e prodotto dallo Stabile del Friuli Venezia Giulia e Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato.
Lo spettatore, in circa 100’, ha la possibilità di assistere ad una eccellente pièce dove una intelligente costruzione drammaturgica, una intrigante scenografia, una recitazione convincente ed una musica travolgente, si danno la mano, come deve essere in un vero spettacolo e coinvolgono, commuovono e soprattutto fanno riflettere su quanto sta avvenendo oggi nella nostra barcollante società dei consumi. Gianni Clementi, apprezzato autore sempre agganciato ai temi contemporanei e l’idea di un esperto regista quale Antonio Calenda, danno vita ad una pièce avvincente, carica di pathos, metafore e allusioni, che punta l’indice sul contrasto grottesco dei nostri giorni dove ai cruenti fatti di cronaca raccontati dai telegiornali e che parlano delle vittime del mare, partite su barconi carichi di merce umana, si contrappone la vita agiata e consumistica delle nostre città che continua a scorrere, quasi senza accorgersi di niente.
Al centro della vicenda, ambientata la notte di Natale, su una spiaggia rocciosa e buia, battuta da una burrasca, in un paesaggio lunare, Carbieli e Peppe, delinquenti gretti che contrabbandano sigarette, nell’attesa di ritirare un carico da un’imbarcazione, iniziano a dialogare e si scoprono insoddisfatti, sconfitti dalla vita: Carbieli, siciliano, geometra, poetico, ha una propria morale, segue le regole, mentre Peppe, romano, pragmatico, è deluso da tutto, dalla sua famiglia, dai suoi stessi figli, che lo considerano una sorta di bancomat ed ha poi il rimpianto di avere, a causa di un insegnante sbagliato, interrotto da giovanissimo gli studi. I due, pur distanti come stili di vita e di vedute, trovano un momento d’incontro nell’alcol e nelle rime, più o meno volute, con cui a tratti dialogano. Ad un certo punto scorgono e soccorrono sulla spiaggia, un ragazzo di colore accompagnato da uno strumento musicale etnico. Il naufrago, ripresosi dallo spavento, inizia a intonare una melodia e un canto che arrivano al cuore di chi prima lo scansava e poi le onde e il vento portano sulla spiaggia lo scheletro di una imbarcazione con all’interno dei migranti. Il barcone è semidistrutto e gli uomini che si materializzano sono arrabbiati per la schiavitù e i soprusi subiti. Con loro anche una donna in evidente stato di gravidanza ed un negriero senza scrupoli che continua a frustarli e a tenerli soggiogati. La giovane donna è stata abusata dal negriero ed ha un passato difficile e di sogni infranti. Inaspettatamente gli schiavi si ribellano e catturano l’aguzzino, si vogliono vendicare e condannarlo a morte attraverso la crocifissione. La donna incinta, intanto, partorisce un bimbo di colore proprio la notte della vigilia, segno di speranza nell’assurdo del quotidiano, che riporta sempre notizie di sogni infranti, di morti in mare e di crudeltà di ogni genere.
Spettacolo completo e di grande impatto, che emoziona e coinvolge, per la storia estremamente attuale, per l’intrigante impianto scenografico di Paolo Giovanazzi ed i costumi di Domenico Franchi, ma soprattutto nel finale per la trascinante musica e la danza di nove danzatori e musicisti di colore (Ismaila Mbaye, Ashai Lombardo Arop, Moustapha Dembélé, Moustapha Mbengue, Djibril Gningue, Ousmane Coulibaly, Inoussa Dembele, Elhadji Djibril Mbaye, Moussa Mbaye), provenienti dal Senegal, che suonano gli strumenti tradizionali portando in scena la storia delle proprie origini.
Con la sapiente regia di Antonio Calenda, riscuotono gli applausi del pubblico, oltre alla travolgente ensemble senegalese ed a Francesco Benedetto (il negriero), gli inseparabili Paolo Triestino, nei panni di Carbieli e Nicola Pistoia nel ruolo di Peppe, coppia di grande talento ed in straordinaria sintonia, abile nei dialoghi tra il comico, il grottesco ed il drammatico e che, con grande professionalità, affronta un tema di scottante e sconcertante attualità.

Finis Terrae Lampedusa
di Gianni Clementi
da un’idea di Antonio Calenda
Regia di Antonio Calenda
Con Nicola Pistoia, Paolo Triestino, Francesco Benedetto, Ismaila Mbaye, Ashai Lombardo Arop, Moustapha Dembélé, Moustapha Mbengue, Djibril Gningue, Ousmane Coulibaly, Inoussa Dembele, Elhadji Djibril Mbaye, Moussa Mbaye
Scene di Paolo Giovanazzi
Costumi di Domenico Franchi
Luci di Nino Napoletano
Produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato
Stagione 2014-2015 Teatro Stabile di Catania - Teatro Verga – 16/21 Dicembre 2014
Foto di scena di Tommaso Le Pera