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Si dimostra vincente il connubio scenico tra Enrico Ianniello e Tony Laudadio, quest’ultimo autore e regista di UN ANNO DOPO. Ritorniamo al teatro di parola e all’arte recitativa che, in questo caso, dimostra profonda dimestichezza ed esperienza attraverso gli incastri perfetti tra voce, gesto e tempi scenici. I due attori riescono a fondersi in un unico personaggio dalla personalità bifronte, collocato nelle due figure di Giacomo e di Goffredo. Scena spoglia, due scrivanie, due computer, il dialogo di una vita che caratterizza i due uomini, colleghi di lavoro, sembra ricordare, da un lato, la drammaturgia americana del botta e risposta, apparentemente asettica ma qui colorata dall’ inaspettato accento ciociaro-umbro, e dall’altro gli ambienti serrati del Teatro dell’Assurdo e della drammaturgia del secondo Novecento. In realtà il testo contiene la descrizione di una condivisione di momenti di vita, all’interno di un ambiente neutrale, che è rappresentato dall’ufficio. Le due differenti personalità ripercorrono, attraverso micro scene narrative, le loro vite, inizialmente distanti, poi sovrapposte. La velocità narrativa è caratteristica predominante, poiché spinge lo spettatore a rimanere incollato al racconto, attento e partecipe, fino alla fine, pur presagendo ciò che avverrà. In realtà non si vuole insegnare nulla, perché la vita di questi due uomini, nonostante la caratterizzazione geografica linguistica, è generica e generalizzante. La drammaturgia italiana contemporanea si semplifica: da un lato si osa attraverso allestimenti confusionari e ridondanti, dall’altro si  “asciuga” la scrittura. Se fino ad alcuni anni addietro l’introspezione psicologica costituiva tema predominante di numerose scritture sceniche, oggi la semplificazione e la semplicità delle tematiche e delle storie raccontate sorprende. Non abbiamo più nulla da dire? O forse, ciò che ci preme raccontare sono quelle cose semplici che non hanno bisogno di elucubrazioni mentali? La famiglia e la vita privata, ormai agli occhi di tutti, vengono portate in scena, attraverso le loro malattie,  le deformazioni e le inevitabili distruzioni. E su questo tema la drammaturgia degli anni Ottanta aveva intuito il trapasso, più che il passaggio. Protagonista, dunque, la semplicità estrema, in una narrazione che coglie l’attenzione dello spettatore che annuisce, sorride, risponde con battute, commenta con il suo vicino di poltrona. Insomma, siamo tutti lì sulla scena, nudi e crudi, senza giri di parole, senza metafore e simbolismi, senza linguaggi artefatti. La lingua utilizzata è infatti l’italiano medio, costellato da regionalismi e modi di dire, tanto che i linguisti avrebbero da parlarne. Le parole sono semplici, ripetute, le frasi non sono articolate. La morale? L’apparenza inganna, l’attesa inganna, il desiderio di “altro” inganna. La vita di provincia da cui nessuno riesce più a distaccarsi, pur desiderandolo, come si faceva un tempo, altro non è che l’immagine artritica della sopita volontà dell’uomo moderno. La grande città attira chi invece della vita non sarà mai contento, i rapporti di amicizia diventano stantii, la famiglia si disgrega. Adesso la chiusura è doppia, non solo dentro gli ambienti famigliari, ma dentro un ufficio da cui nessuno uscirà: i due colleghi non riusciranno mai ad entrare realmente nella vita dell’altro. Unici legami e mezzi di comunicazione, la scrittura su carta, ma anch’essa è “liofilizzata” ( le sinossi che scrive Giacomo),  ed internet, simbolo del mondo esterno che entra negli ambienti serrati e personali (basti pensare alla segregazione più evidente del racconto, cioè gli arresti domiciliari). Non ritroviamo più i telefoni, le radio e le televisioni ruccelliani degli anni Ottanta, ma il computer e la Rete. A distanza di più di trent’anni rimangono la solitudine, le famiglie sfasciate, i padri che “uccidono” i figli. Quest’ultimo tema,  spesso colto ed analizzato all’interno dell’intimismo delle storie della nuova drammaturgia contemporanea, qui si trasforma in pedofilia. Luoghi comuni è vero, ma sintomo di una nuova società. Serrata, isolata, incassata nello schermo del pc. Nonostante il testo di questo spettacolo non susciti enorme entusiasmo, né voglia trasmettere grandi verità universali,  è anche evidente che un racconto di questo genere debba essere necessariamente portato in scena senza nessuna esitazione recitativa. La straordinaria performance dei due attori permette anche al testo, che in mano ad altri interpreti probabilmente non stimolerebbe allo stesso modo e con la stessa intensità, di suscitare l’applauso del pubblico, quest’ultimo profondamente coinvolto nel racconto.

Foto Giuseppe Distefano

UN ANNO DOPO
Teatro Nuovo Napoli
2 -11 gennaio 2015
Onorevole Teatro Casertano e Teatri Uniti
Un anno dopo
di Tony Laudadio
con Enrico Ianniello e Tony Laudadio
collaborazione artistica Simone Petrella
direzione tecnica Lello Becchimanzi
regia Tony Laudadio