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Le parole di Fausto Malcovati, colui che ha curato l’adattamento teatrale del romanzo kafkiano “America”, sono riportate nella prefazione del testo teatrale, pubblicato da Ubulibri nel 2000, in occasione del debutto dell’edizione diretta da Maurizio Scaparro: << come già nelle precedenti esperienze di riduzioni teatrali di testi narrativi, Maurizio vuole nei confronti dell’originale massimo rigore e rispetto. Non si riscrive Kafka, non si inventano battute diverse da quelle esistenti: dove c’è materiale dialogico dell’autore, si deve conservare e utilizzare al massimo. E tuttavia per la parola dell’autore Maurizio ha una sensibilità tutta speciale: ci sono frasi, battute che afferra, lascia risuonare dentro e su cui poi costruisce una proposta di lettura del tutto originale>>. L’ultima frase, riportata da Malcovati, è quella da cui vogliamo partire per descrivere lo spettacolo in scena al Teatro Nuovo di Napoli, dal 14 al 18 gennaio. In effetti la proposta di lettura di Scaparro è del tutto originale: spettacolo che è arrivato a Napoli durante il Napoli Teatro Festival Italia 2014, va in scena per la seconda volta nella città partenopea. Il romanzo kafkiano, scritto tra il 1911 e il 1914, pubblicato postumo nel ’27, incompiuto e tratto da un primo nucleo narrativo, “Il fuochista”, narra del giovane praghese Karl Rossman, che viene “espatriato” dalla sua stessa famiglia, in seguito ad una relazione con la cameriera, più anziana, rimasta incinta. La descrizione del rapporto torbido tra il giovane e la cameriera sembra essere basato su un obbligo: come obbligo appare l’invio forzato del giovane in America. Primo punto su cui riflettere, dunque, è la “costrizione”, poiché la motivazione per cui il giovane viene spedito oltreoceano è lo scandalo. All’interno di un discorso in cui si parla di emigrazione, dolore, allontanamento, distruzione, nonostante Kafka non sia mai realmente andato in America, si racconta la storia di questo giovane spedito volontariamente dalla famiglia. Il luogo di partenza appare, dunque, come generatore di obblighi, dolorosi e profondi. Ciò che emerge dallo spettacolo è invece soprattutto il viaggio, o meglio l’approdo che diventa ulteriore viaggio, perdendo di vista proprio la partenza. L’intera produzione scenica è costruita, è vero, sul rispetto delle parole kafkiane, organizzando la drammaturgia per blocchi riportati, così come è diviso il romanzo, e affidando la narrazione allo stesso protagonista, oggi interpretato dal giovane Giovanni Anzaldo, in passato da Max Malatesta. Se nel romanzo la tendenza all’importanza della solidità dell’approdo, sebbene anche simbolico o immaginario, sia l’elemento che evidenzia maggiormente il dolore della partenza e del distacco, nello spettacolo il viaggio sembra iniziare esattamente dopo l’arrivo in America. Dalla descrizione ( immaginaria!) della Statua della Libertà all’incontro con lo zio, il tempo è brevissimo, e sulla scena appare talmente veloce da sembrare cinematografico. Grazie alla continua apertura e chiusura di porte scorrevoli, che identificano i cambi simbolici di scena, i luoghi e il tempo, le immagini si intersecano velocemente, ed i personaggi, interpretati sempre dagli stessi attori (inevitabile), si scambiano i ruoli. Il tutto avviene talmente velocemente da non percepire, appunto, gli “approdi”. Karl, pur nelle vicissitudini della sua nuova vita, ha bisogno di punti e di luoghi fermi: dalla lunga conversazione iniziale, nel romanzo, con il fuochista, alla difesa di questo davanti al Capitano, fino all’entrata dello zio che lo porterà nella sua casa, fino all’hotel Occidental, fino all’abitazione dei due “amici” scapestrati, Delamarche e Robinson, insieme alla cantante Brunelda, fino al teatro di Oklahoma. Inevitabile, all’interno del racconto, ma anche tra le scene dello spettacolo, l’ambientazione onirica, colorata, eccessiva, meta teatrale.  Lo spettacolo sembra snodarsi, a tratti, lungo le ambientazioni del racconto del Mago di Oz o di Alice nel Paese delle meraviglie,  per poi ripiombare nei vagoni ferroviari o nelle stive polverose dei migliori film sull’emigrazione, fino ai palcoscenici dei Cafè- Chantant, ma di quelli americani. La musica, in questo spettacolo eseguita dal vivo nell’adattamento di Alessandro Panatteri, è il vero collante del mosaico narrativo e drammaturgico. Il jazz, la musica americana, quella yddish e quella europea, uniscono la partenza e l’approdo. Probabilmente il fatto che Kafka non sia mai realmente andato in America giustifica la descrizione ironica, musicale, immaginaria del viaggio della speranza. Ma di certo avrà avuto sentore della tragicità del momento e della condizione degli emigranti, anche se il romanzo sembra essere soprattutto immagine di un terribile allontanamento simbolico dalle costrizioni, un viaggio immaginario e psicologico verso un mondo fantastico, la meta agognata dai tutti gli Europei, un luogo-non luogo. Il rapporto tra Karl e il fuochista, conosciuto all’interno della nave, al momento dello sbarco, sembra dimostrare,  proprio in quel  luogo di passaggio e quindi simbolico ( la nave e gli oblò da cui si intravede l’America ma che ancora America non è), il disperato bisogno di approdo e di rapporto interpersonale. L’immagine allegra, divertente, a tratti spensierata, la musica, e la corsa verso la conclusione, caratterizzano fortemente lo spettacolo, rimanendo quasi in superficie, cercando di non cogliere il dolore dell’allontanamento, fisico, territoriale, o simbolico, portando in scena un turbine teatrale in cui troviamo la sciantosa Brunelda interpretata da un uomo non più giovane ( Ugo Maria Morosi nei panni, quindi, di una sorta di Drag Queen) e il teatro di Oklahoma come circo delle banalità. Purtroppo, nonostante la volontaria scelta di Scaparro di cogliere l’originalità e di portarla in scena, il pubblico mormora durante e dopo lo spettacolo. Molti spettatori, assidui lettori di Kafka, appaiono delusi e commentano perplessi all’uscita. In effetti avremmo preferito ritrovare l’oscurità e la profondità del racconto kafkiano, permeate dalla patina della meta teatralità scenica e contornate dalla musica, in un mix perfetto tra le parole del grande autore e l’originalità drammaturgica.

Foto Salvatore Pastore

AMERIKA
TEATRO NUOVO NAPOLI
14-18 GENNAIO 2015
Compagnia Gli Ipocriti
in collaborazione con Fondazione Teatro della Pergola di Firenze
presenta
Amerika
di Franz Kafka
traduzione e adattamento di Fausto Malcovati
con
Giovanni Anzaldo, Ugo Maria Morosi, Carla Ferraro
e con
Giovanni Serratore, Fulvio Barigelli, Matteo Mauriello
musiche ispirate alla cultura yiddish della vecchia Europa e al jazz nero di Scott Joplin adattate da Alessandro Panatteri
eseguite dal vivo da
Alessandro Panatteri, piano - Andy Bartolucci, batteria - Simone Salza, clarinetto
scene Emanuele Luzzati riprese da Francesco Bottai
costumi Lorenzo Cutuli, movimenti coreografici Carla Ferraro
regia Maurizio Scaparro
regista assistente Ferdinando Ceriani
organizzazione generale Melina Balsamo