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Una donna si interroga sul suo mondo interiore sulle sue emozioni, sui desideri ...E scopre una donna nuova: una donna che prova una passione forte e inaspettata per un’altra donna. Tutto questo avviene nel mezzo del cammin della sua vita e anche oltre: a 45 anni. Il testo di Letizia Russo è sospeso, ironico leggero. La giovane drammaturga italiana Premio Tondelli 2001 ha alle spalle drammaturgie provocatorie e surreali qui invece è lirica, leggera, a tratti passionale. Una nuova luce si accende anche in Letizia, raccontando questa volta non più mondi quasi mitici come nelle precedenti opere ma la semplicità di un quotidiano fatto di ore e giorni vissuti quasi dormendo e reprimendo i desideri. In modo delicato tratta un tema difficile, i desideri inespressi, le convenzioni sociali. Nata a Roma nel 1980, drammaturga e traduttrice, Letizia Russo debutta ventenne con Niente e Nessuno (una cosa finita) nel 2000. Scrive successivamente Tomba di cani nel 2001, testo per il quale riceve il Premio Tondelli e successivamente il Premio Ubu per la migliore novità drammaturgica. Nel monologo l’autrice narra la storia di un desiderio avvolgente e caldo che arriva all’improvviso e investe la vita di una tranquilla quarantenne. Sposata con un uomo che la rispetta e la ama, “che ha mantenuto tutte le sue promesse” la donna scopre all’improvviso che esiste la possibilità di vivere, magari per una volta nella vita, un momento di abbandono totale al desiderio. Ma il suo è un desiderio che le convenzioni sociali non permettono di riconoscere e chiamare con il nome giusto. Nel monologo la donna dialoga con se stessa con l’altra lei, l’altra che vorrebbe spingerla ad abbandonarsi al desiderio, chi vincerà la battaglia? Tifiamo per l’altra, ma sappiamo bene che contesti sociali sono più forti delle persone. La regia di Manuel Renga, che si avvale della supervisione di Serena Sinigaglia, chiude la donna all’interno di un cerchio opprimente, quasi una gabbia, composto da dodici microfoni, occhi e orecchie che indagano, giudicano occhi e orecchie di un sociale che opprime, di un sociale bigotto e perbenista che vive di echi, a terra cavi rossi su la protagonista riesce a malapena a rimanere in piedi e il ronzio di un frigo che non smette mai. Rumore di fondo di un quotidiano opprimente. La regia aggiunge al testo, estremamente semplice, la complessità assente. Attraverso la lettura poetica e referenziale dei segni scenici è possibile capire che la realtà resta opaca, fissa, vi è un immobilismo sociale che ci impedisce, soprattutto nel caso delle donne, di vivere i nostri desideri liberamente secondo la nostra legge morale, quella della nostra coscienza per dirla alla maniera di Kant. Ogni opera teatrale crea delle possibilità di sguardi sul mondo che possono essere anche rivoluzionari e aprire cioè una nuova rilettura del mondo, in questo caso il monologo si ferma ad una lettura come a dire: in Italia non è possibile ribellarsi e Manuel Renga attraverso la sua ragionata miniera di segni cerca di farci capire il perché. Gli uomini e le donne del nostro paese vivono chiusi in uno spazio ristretto fatto di convenzioni sociali e morali (a cominciare dalla morale cattolica) che creano piccole gabbie dorate, stagni della mente: nel finale il testo si richiude in se stesso. Manuel Renga, attore e regista, diplomato al corso di regia della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, con sensibilità e magia dona al testo i toni di una favola metropolitana raccontata al microfono come in un radiodramma. Un groviglio di suoni e parole un groviglio di emozioni e sentimenti inespressi come i cavi rossi ai piedi della protagonista. Sandra Zoccolan interpreta con forza e grazia la donna di questo racconto che lotta fra desiderio di libertà e timori morali. Le luci di Alessandro Verazzi sostenute scenicamente da Stefano Zullo, ondeggiano fra pubblico e privato regalando momenti intimi e poetici.

Milano, Teatro Ringhiera 15 Febbraio 2015