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Leggere l’opera di Bernard-Marie Koltès, LA NOTTE POCO PRIMA DELLA FORESTA, significa impiegare un’ora della propria vita, tempo che dipende dagli impegni e dalla velocità di lettura e di comprensione di ogni lettore, in una corsa sfrenata. Lo scritto di Koltès, che in realtà in traduzione italiana appare caratterizzato dalla grammatica semplice, da un italiano parlato e violento, ma non scorretto, è costituito soprattutto dalla paratassi, o più banalmente, dal susseguirsi di frasi congiunte attraverso virgole e due punti. Mai un punto, mai una pausa, solo i punti esclamativi ed interrogativi delineano una partitura in cui il flusso di parole è continuo, inarrestabile. La sensazione, a metà lettura, è quella di una fusione di immagini diverse, come se l’autore, morto a soli quarant’anni, annotasse ogni pensiero che gli passasse per la mente, durante una corsa sfrenata verso la vita e la morte, e poi unisse il tutto attraverso un mare magnum di parole. La lettura scorre veloce, alternando delirio, analisi, osservazione della realtà e del presente, e flashback, attraverso un passato che sembra irreale, onirico, costellato di personaggi che forse non sono mai esistiti.  Immagini in cui, ancora una volta, la corsa è elemento preminente. Un affanno che diventa ricerca, un dolore che diventa sopravvivenza, un respiro, lungo quanto un pensiero, che si arresta soffocato dalla cruda realtà. I luoghi descritti da Koltès, in questo suo “monologo senza sosta”, sono quelli degli emarginati, o meglio, quelli visti attraverso gli occhi degli emarginati, luoghi in cui penetrano violentemente gli esponenti della società comune, benestante, ben pensante. Ma ciò che rende maggiormente dolorosa l’osservazione è il punto di vista di uno straniero, non solo inteso come personaggio venuto da un altro luogo, ma anche come persona che rifiuta l’omologazione sociale, soprattutto quella politica e sessuale. In effetti, tra la trama delle parole, fitta e incessante, emerge un protagonista probabilmente omosessuale e comunista: Koltès muore di AIDS e milita nel Partito Comunista francese. Inoltre sottolinea ripetutamente il suo rifiuto al lavoro in fabbrica, proponendo il suo ideale utopico di sindacato internazionale. L’approccio con un testo del genere, datato 1977, è molto complesso, soprattutto nel momento in cui ci si appresta a portarlo in scena, così come avviene nella Sala Assoli di Napoli, dal 20 al 22 febbraio. Lo spettacolo riporta il titolo AI MARGINI DELLA FORESTA, uno studio su Koltès, anche se il testo sembra essere rispettato integralmente. In scena Carlo Verre, interprete, che ha curato l’adattamento insieme a Tiziana Mastropasqua, la regista. Su una scena delineata da strisce bianche, ritroviamo i segni che identificano simbolicamente le zone, i confini, i quartieri di una città come un’altra, in cui bisogna essere necessariamente collocati “ai margini della foresta”, in base all’appartenenza sociale e politica, e mai valicare il limite, per non morire, per non essere uccisi, bastonati o picchiati: in questo spazio si muove il protagonista. Brizzolato, alto, magro, impermeabile, sigaretta. Immagine cinematografica che si muove tra cubi e specchi, lampade dondolanti. Il testo di Koltès è “bagnato”, fradicio: l’autore racconta sotto la pioggia, gira gli angoli, fugge gli sguardi indagatori e accusatori, è bagnato fino alle ossa. E ci sembra di sentirla questa pioggia, di sentirne l’odore, l’umido addosso, come un’enorme lacrima che inzuppa l’umanità. L’attore comincia una corsa contro il tempo e vomita parole su parole, gesti, in una mise compassata, rigida, un vero e proprio contenitore umano. Mentre le parole dolorose, arrabbiate, malinconiche e terribili fluiscono dalla sua bocca, pur con qualche intoppo o incertezza, così come incerto è il suo incedere sul palcoscenico, tradendo l’emozione della prima, egli avvolge gli spettatori. Uno sconosciuto incontrato e seguito, dietro un angolo, un personaggio effimero, forse un ragazzino, simbolo della purezza e della possibilità di parlare apertamente, senza la paura negli occhi. Il racconto putrido di una società ancor più imputridita, tra prostitute, ricchi, emigrati, stranieri, ricchi e omologati, tra violenza e chiacchiere inutili,  viene descritto attraverso immagini improvvise che si aprono all’interno del fluire di parole. Quando le parti asettiche di una società si mescolano nelle zone “neutre”, qualcosa ribolle per le strade. Il vagare reale e metaforico di questo personaggio, simbolo della solitudine metropolitana ed umana, approda a dei fiumi, a degli specchi, ad oggetti che “riflettono” se stesso, ma dai quali il protagonista fugge o rivolge sempre le spalle. Il legame verbale instaurato  con lo sconosciuto appare uno sfogo nei confronti della stessa coscienza, un racconto-ricordo, un dolore perpetuo. Il flusso scenico colpisce il pubblico, soprattutto durante la prima parte, sganciandosi poi nella seconda, a tratti, e dando vita ad un andamento altalenante, tradendo un’attenzione non costante da parte degli spettatori. Il doloroso urlo monologante di Koltès sembra spezzettarsi in scena, scollarsi dalle sue ossa, interrompersi durante gli inserti musicali, peraltro ben ricercati e necessari, a causa della faticosa performance dell’attore, ma non riusciamo ad immedesimarci completamente nella vita del protagonista, non riusciamo ad assorbire del tutto la sua anima fradicia.  La recitazione ha bisogno di un iper-fluidità, soprattutto nel caso di questo specifico testo, poiché ogni minima ed impercettibile pausa, nella parola e nel gesto, bloccano inevitabilmente questo fluire, che è indispensabile per rendere, anche in scena, la stessa sensazione di affanno, di corsa disperata, che si evince attraverso  la lettura del testo.  Scelta rischiosa, e soprattutto coraggiosa, quella di portare questo testo di Koltès in scena, scelta che necessita, ancora, di un ulteriore lavoro di “labor limae”, di fusione ed osmosi tra l’uomo sul palcoscenico, l’uomo che scrive, l’uomo che racconta.

AI MARGINI DELLA FORESTA
DA UNO STUDIO SU B.M. KOLTÈS
Sala Assoli Napoli
20-22 febbraio 2015
Interprete Carlo Verre
Regia e scena Tiziana Mastropasqua
Aiuto regia e disegno luci Mario Autore