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Marco Baliani, con questo suo lavoro, predispone, coadiuvato per la drammaturgia da Maria Maglietta, un gioco profondamente teatrale e anche molto contemporaneo per andare dritto alle radici dell’umanesimo, quando l’uomo rivendica la concretezza e la razionalità del suo essere naturale e fisico, in un contesto in cui anche la spiritualità più intensa assume i suoi valori e i suoi riferimenti dall’esistere nel mondo.
È un meccanismo delicato e raffinato con il quale ridefinisce e, direi, traveste la narrazione e la lingua stessa del Boccaccio in una sintassi drammaturgica intimamente finalizzata alla scena, che ne rinnova e sveltisce i ritmi recitativi ispirandosi, a mio avviso, direttamente alla lingua e ai modi della commedia dell’arte, esplicitamente incistati da un multilinguismo dialettale che ne sottolinea la capacità espressiva.
Ma è un gioco mai fine a sé stesso, un gioco che ripropone il narrare opposto alla nuova pestilenza delle nostre società disintegrate e liquide, che del “civile sentire” di umanistica memoria hanno perso dolorosamente il filo.
La riscoperta dunque del valore catartico e, per così dire, terapeutico del narrare in scena in un percorso che riscopre intimità e sensibilità, nascoste proprio nell’atto e nella predisposizione del narrare singolare e collettivo, intimità e sensibilità che si credevano dimenticate e che, invece, svelano e smascherano l’ipocrisia di una società travolta da sé stessa.
“Le storie (scrive lo stesso Baliani) servono a rendere il mondo meno terribile…….servono ad allontanare, per un po’ di tempo, l’alito della morte”, un teatro quindi “balsamo” oltre che dello spirito soprattutto della comunità, un teatro infine “civile”.
Ne nasce un meccanismo teatrale gradevolissimo ma in fondo anche inquietante, capace di muovere sconcerto e rabbia, al cui interno un sorprendente, per tempi, movimenti scenici e gestione del corpo, Stefano Accorsi, a suo agio anche con quella lingua ricchissima e acida, è la guida, il fil rouge di questo sgangherato carrozzone di moderni “scarrozzanti”, che riesce a dare complessiva unità drammatica ai lacerti della compatta narrazione del Boccaccio selezionati da Baliani, anche ottimo regista.
Poche novelle, ma parte significativa del tutto narrativo, in cui Accorsi e i cinque attori che lo affiancano con bravura e coraggio (Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu e Naike Silipo) si alternano mutando con abilità, come nella antica arte, le parti (e anche i “generi”) in commedia, moltiplicando così l’effetto prospettico, in tempo e spazio, della narrazione e riconducendola con ostinazione al qui e ora dello spettacolo, entrambi icasticamente rappresentati dalla pastasciutta nel frattempo preparata e a lungo attesa, i cui profumi hanno deliziato anche la platea.
Marco Baliani si conferma narratore di valore essendo riuscito qui, ancora una volta, a traslare ed articolare tale sua arte in un meccanismo collettivo assai convincente, dentro il quale il valido contributo della recitazione supporta la resa scenica.
Produzione di Nuovo Teatro in collaborazione con Fondazione Teatro della Pergola, si avvale per le scene e i costumi di Carlo Sala e per le luci di Luca Barbati.
Al teatro Della Corte di Genova, per il cartellone ospiti dello Stabile, dal 10 al 15 marzo, ha visto una prima con il teatro, molto grande, esaurito in ogni ordine di posti, anche per il richiamo congiunto del testo, del regista e del protagonista, da un pubblico che non ha lesinato applausi e richiami al proscenio.