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Lungo titolo per la prima prova drammaturgica della giovane Roberta Frascati, classe 1984, attrice e autrice, che debutta con questo suo primo testo, a Napoli. E napoletano è il titolo, che tradotto significa “ ceste di numeri e pentoloni di stelle”, e napoletana è la lingua utilizzata

all’interno del testo, e quindi anche in scena. Due i personaggi protagonisti, Pupetta, interpretata dalla stessa Frascati, e Titina, interpretata da Eliana Manvati. Giovani artiste che portano sul palcoscenico  la loro formazione ed esperienza, espressione e prodotto della scuola Pigrecoemme Cinema di Napoli, del cui team artistico fa parte anche il regista, Angelo Serio. Il titolo, mix di poesia e mistero, sembra quello di una favola antica, e in effetti l’atmosfera ci riporta indietro nel tempo, tra streghe e fattucchiere, e ancor più indietro, ai tempi delle scuole filosofiche greche. L’intento della Frascati è quello di scrivere un testo che apparentemente non abbia finalità specifiche, quasi una volontà, una necessità personale di esternare sentimenti, passioni, teorie. O meglio, l’esigenza di porsi delle domande sul destino, o sul libero arbitrio, e quindi su ciò che è stato e su ciò che cambierà, come e quando: tutto questo caratterizza una scrittura apparentemente “di getto”, che mescola drammaturgia e interazione scenica, attraverso lunghe riflessioni. Lo spettacolo, in scena presso il Teatro San Carluccio di Napoli, il 10 e 11 marzo, è inserito all’interno del cartellone  di una rassegna rivolta alle donne, autrici ed attrici, dal titolo 61RL5/GIRLS, che si potrarrà dal 10 marzo al 1 aprile. Il testo recupera la tradizione teatrale napoletana – dai nomi dei due personaggi, alla lingua, alla gestualità, all’interazione tra le due protagonste – e la riflessione contemporanea sull’origine del mondo. La cabala, i numeri, i pianeti, le filosofie orientali: insomma, qual è il nostro destino? Possiamo affidarci ai numeri? Le nostre date di nascita hanno un significato? All’interno di una casa ( descritta semplicemente attraverso due sedie bianche e un mobile) in cui viene accolta la giovane Pupetta, simbolo del mondo incolto, popolare e dedito alla filosofia spicciola, la “donna- maga” istruisce la ragazza. O almeno l’intento, doloroso, asfissiante, ripetitivo, è quello. Da un forte realismo, legato alla farsa napoletana, alla Cenerentola di Basile, alle favole de “Lo cunto de li cunti”, elementi che caratterizzano l’inizio dello spettacolo, l’atmosfera si trasforma, le pareti della piccola casa si sfondano simbolicamente, le immagini che pervadono la mente degli spettatori si aprono verso il buio cosmico puntellato di stelle e pianeti. E in effetti come non sottolineare la scelta azzeccatissima di ricoprire le quinte nere, e parte del tetto della sala, con una rete intrecciata, che per effetto della luce UV, o lampada di Wood,  si trasforma in cielo puntellato di stelle.
Le due protagoniste appaiono come i due antipodi dell’umanità: l’essere o non essere, il capire e il non capire, il voler approfondire o il voler rimanere in superficie. Quando la donna spiega alla giovane amica- servetta le teorie apprese, quest’ultima pigra e analfabeta, reagisce e comincia a tremare. La conoscenza approfondita, lo sgretolamento delle mura della casa-mente, spaventano la giovane, ingenua e ignara. Il viaggio siderale nel destino dell’umanità sfonda metaforicamente le pareti della casupola e percorre l’infinito. Lo spettacolo procede alternando momenti di ilarità, di comicità popolaresca, alle elucubrazioni mentali della donna-maga, che appare ripetutamente come una popolana acculturatasi attraverso la lettura di libri,  ripescando la conoscenza di credenze, recuperando studi e filosofie, mescolando anche la cultura popolare. L’ilarità nasce anche dal contrasto presente nel linguaggio utilizzato delle due protagoniste: da un lato la giovane popolana che parla solo in napoletano, utilizzando un’accentuata gestualità, a tratti eccessivamente legata al teatro di tradizione. Dall’altro la donna colta, o pseudo-colta, che descrive ed esterna il suo pensiero attraverso l’utilizzo di  una lingua scientifica, ma che trascende ripetutamente nel dialetto. Le due donne  hanno bisogno di un codice comune per comprendersi, e sgridare la giovane attraverso la lingua napoletana è un modo efficace per destarla dal suo torpore fisico e mentale. Naturalmente il contrasto genera sorriso, e in tal modo reagisce il pubblico. Intenso l’intermezzo poetico, descritto attraverso l’invocazione al cielo, quel cielo che genera e trasforma i nostri destini: poesia memore della tradizione napoletana, come quella che un tempo si rivolgeva alla luna, al golfo, alla natura, prodotta dai poeti dell’Ottocento e del Novecento, memori ancora del Romanticismo. Le varie parti dello spettacolo vengono divise ed intervallate da momenti in cui le due protagoniste mimano simbolicamente, aiutate dalla musica. Tutti questi elementi, però, appaiono come “quadri” scollati rispetto alla fluidità delle parole che, invece, caratterizza il dialogo tra le due attrici. Ed anche questa fluidità sembra disperdere il discorso, in alcuni momenti, perdendo la comunicazione e il rapporto con il pubblico, affidando la comprensione finale all’immaginazione degli spettatori. La donna rende pubbliche le sue riflessioni, senza mai giungere, però, ad una conclusione definitiva, cioè non indica mai un unico punto di vista. Ecco perché l’autrice parla di riflessioni, ma da queste dovrebbe emergere anche un pensiero univoco, affinchè il pubblico possa esserne d’accordo o meno, o comunque riflettere a fondo. Primo lavoro drammaturgico che rivela una grande originalità e soprattutto un’eleganza tutta al femminile, che potrebbe, però trasformarsi e crescere nel tempo. Per questo il confronto con i giovani autori è fondamentale nell’ ottica dell’osservazione di stili, temi e scritture, affinchè la nuova drammaturgia germogli costantemente.

SPORTE ‘E NUMMERE E CAURARE  ‘E STELLE
Nuovo Teatro San Carluccio Napoli
10-11 marzo 2015
primo testo teatrale di Roberta Frascati
con la regia di Angelo Serio
interpretato da Roberta Frascati e Eliana Manvati
Scene e costumi Tiziana Cannavacciuolo
Musiche originali Federico Luongo
Disegno luci Nino Perrella
Fotografo di scena Pepe Russo
Realizzazione scene Gianluca Iovino
Aiuto regia Angelo Sorrentino