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C’è una tensione interna che rende interessante “Lampedusa Snow”, lo spettacolo scritto e diretto dalla palermitana Lina Prosa e intrepretato da Federico Lima Roque (scene, luci e video design di Paolo Calafiore, videomapping di Alessio Bianciardi, voce fuori campo del griot Bakary Sangaré): spettacolo che s’è visto al Teatro Biondo di Palermo (Sala Streheler) dal 26 febbraio all’8 marzo. Si tratta, dopo “Lampedusa Beach” dell’anno scorso, del secondo episodio di quella “Trilogia del naufragio” che, prodotta e realizzata in Francia dalla Comedie Française, è ora (giustamente) realizzata anche a Palermo grazie alla produzione del Teatro Biondo. Una tensione interna che si attiva, da una parte, per la complessità del testo che riflette la straordinaria mole di simboli, contenuti politici e sentimenti che l’attuale enorme fenomeno della migrazione in Occidente dall’Africa e dal Medio-Oriente suscita e porta con sé (l’autrice dichiara esplicitamente che il testo è ispirato da un reale fatto di cronaca) , dall’altra, per l’altrettanto cogente necessità artistica che induce a esprimere tutto ciò con un linguaggio scenico che sia netto, essenziale, pulito, tendenzialmente privo di ogni orpello retorico che comunichi un qualunque tradimento della verità. Una tensione lacerante che, come nello spettacolo precedente, non sempre appare risolta positivamente nella forma semplice dello spettacolo (non convincono soprattutto le parti più esplicitamente politiche, proprio perché il soggetto è già interamente e straordinariamente politico), ma che, nondimeno, innerva questo lavoro conferendogli urgenza e necessità d’arte. Ma andiamo per ordine: Mohamed è un giovane africano, migrante e naufrago che, da Lampedusa dove è sbarcato in seguito a un naufragio, viene trasferito (meglio: viene deportato) in un centro di “accoglienza” a 1800 metri d’altezza. Un ambiente montano, innevato, ostile, che difficilmente può accogliere quel giovane ingegnere elettronico; da qui, ben presto, matura in Mohamed la decisione di fuggire; una fuga, per attuare la quale il giovane decide di agire, di darsi forza, di salire ancora più in alto rispetto al centro di accoglienza, di valicare quella montagna, trascinandosi prima mezzo nudo (solo un paio di pantaloni leggerissimi e una vecchia felpa usata e troppo grande per lui) e poi nudo del tutto nella neve e fino a morire assiderato (l’immagine, tratta dal capolavoro pittorico del Perugino, è quella di un san Sebastiano ucciso dai dardi del gelo). Ma questa estrema fuga verso l’alto è anche l’occasione per riconsiderare da una parte la sua vita, la sua storia, la storia della sua gente, la storia di quell’Annibale, africano come lui ma fortunato conquistatore, la fragilità del suo corpo, le occasioni di felicità mancate, le delusioni, le menzogne e i desideri frustrati, dall’altra per un incontro fantasmatico con un vecchio partigiano che gli insegna (ci insegna ancora), insieme col canto “Bella ciao”, l’arte “montanara della rivoluzione”. Detta così è semplice, ma nella costruzione scenica tutto diventa più complesso ed estremamente interessante: i simboli si susseguono e si affastellano (il freddo di una realtà diversa da ciò che s’era immaginato, il freddo che “incide l’intimità”, le tracce di un capitalismo che non può che tradire i suoi sogni – come aveva tradito quelli di Shauba -, la ricerca della libertà come “ascesa”, il sogno politico di una nuova rivoluzione “partigiana”, la nudità finale che è segno di un’umanità che, pur nella più disarmata fragilità creaturale, deve prescindere da tutto ciò che le è esterno); la costruzione del personaggio parte dal suo vissuto culturale (la presenza sonora della narrazione epica tradizionale di un griot africano, il continuo risalire alla coscienza dell’identità islamica); infine il continuo entrare e uscire dall’ espressione diretta e in prima persona, per entrare nell’ambito della narrazione in terza persona o della mimesi del dialogo (“Il vecchio dice…, Saif dice…, io dico…) che è una scelta politica prima che estetica e mette il pubblico (proprio noi, assuefatti come siamo all’orrore quotidiano delle migliaia di morti in mare) nella scomoda situazione di dover intervenire, rispondere con verità a Mohamed, prendere posizione rispetto a quanto di terribile sta accadendo, e non solo sulla scena.