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Diciannove Giugno 1815, Napoleone dopo aver abbandonato la sua giumenta bianca, Desirée, fugge su un cavallo senza nome, verso Parigi. Namur, paese di retrovia, è percorso da soldati inglesi e prussiani in cerca di nemici. Nell’opera di Tarantino, Namur non è solo una città, è uno stato d’animo, una dimensione dell’essere in tempi di guerra. Un uomo e una donna s’incontrano, in una capanna fuori città: Marta una vivandiera non più giovane , una donna che ha rinunciato alla tranquilla vita familiare in cerca di libertà ( una libertà che paga a caro prezzo ogni giorno, sul suo corpo) e  Lucien un giovane soldato, che cerca in tutti i modi di sfuggire alle richieste d’amore della donna e che vede in lei solo una possibilità di fuga: prenderò i suoi vestiti e scapperò, lei indosserà i miei e anche se la prenderanno se la caverà; le donne se la cavano sempre in tempi di guerra...I loro dialoghi crudeli svelano l’assurdità della guerra, di ogni guerra e le difficili relazioni di genere. Una parola corpo drammatica crudele, reale, un paesaggio umano fatto di perdite, sconfitte delusioni, un fiume narrativo che si arresta nel finale come un colpo di cannone. «Chi siete? Nemici»
Teresa Ludovico chiude con queste parole di una semplicità universale l’atto unico. Teresa Ludovico intensa e mirabile nella parte di una donna sul finire del giorno, è anche regista dello spettacolo. La regia carica di segni scenici si affida alla scenografia delle luci, creando immagini che arrivano alla verità scenica come una specie di bisturi: taglienti dal basso come cannoni disposti in fila pronti ad esplodere e laterali come sbarre di una gabbia. Lo spazio scenico e le luci sono affidati alla visione magica di Vincent Lounguemar (ben accompagnata dal lavoro del tecnico suono e luci Gianvito Marasciulo, il teatro vive grazie alle fatiche dei tecnici non dobbiamo dimenticarlo) Predomina il rosso e il bianco, fra delusioni e speranza di un alba migliore un uomo e una donna si affidano alla Storia sperando che qualcuno raccolga le loro vite.  Il pubblico lo fa con calore, spettacolo ben riuscito, perfetto in ogni sua parte: dalla parola scritta a quella scenica, un insieme di corpi entrano in relazione e regalano bellezza «Siamo sempre più distanti da tutto quello che è corpo, materia umana, contatto, calore. Siamo sempre più spettatori e attori virtuali, di rapporti virtuali. Solo il teatro, con i suoi legni, i suoi chiodi e la carne viva degli attori si offre, nudo e crudo, in pasto agli spettatori che con i loro corpi, anch’essi esposti, sono lì, a compimento di un rito millenario». Namur nasce da queste parole e dall’incontro di Teresa Ludovico e Antonio Tarantino. La messinscena diventa una scrittura su un’altra scrittura, una brillante rappresentazione sostenuta dalla forza di un soggetto che scrive, di un testo che parla a un universo immaginato molto ampio. Nei gesti e nelle sonorità vocali di Roberto Corradino, tutte le speranze di un cambiamento tutta la voglia di vita, tutto il desiderio di gettarsi alle spalle gli orrori della guerra: «...è stupido morire alla amia età, per l’ambizione di un mostro, di un nano gonfio di orgoglio, di un criminale che se ne frega dalla tua vita e di quella di altri centomila giovani come te.» Lucien vuole vivere, Marta sceglie di morire consapevole che solo una morte eroica accanto al suo amore le potrà regalare vera libertà.

Milano, Teatro Ringhiera, 20 Marzo 2015