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La “Giornata Mondiale della Marionetta 2015”, evento in contemporanea in più di ottanta paesi, dal 20 al 22 Marzo è a Grugliasco, in quel di Torino, ospite del benemerito, e non è retorica, Istituto Italiano per i Beni Marionettistici ed il teatro Popolare. Così, promosso come sempre da UNIMA Union Internationale de la Marionnette, la più antica associazione teatrale del mondo occidentale, il festival si è potuto avvalere della competenza e della saggezza di Alfonso Cipolla e Giovanni Moretti che dell’Istituto sono l’anima.
Basterà ricordare che l’Istituto, UNIMA/Italia e il suo presidente Aldo De Martino, sono riusciti con molto impegno a “costituire una Rete tra i principali musei e le maggiori collezioni nazionali di teatro

di figura. Data l’unicità e la preziosità dei materiali conservati e del sapere tramandato, la Rete degli Archivi UNIMA/Italia è stata candidata a essere inclusa nel Registro della Memory of the World dell’UNESCO”.
Intendiamoci, sgomberando il campo da equivoci e luoghi comuni, niente di “pittoresco” o “vintage”, niente di storico ovvero “polveroso”, qui e in questi giorni si è discusso di teatro, si è fatto “teatro” nel senso più pieno del termine, o meglio “teatro” nella sua essenzialità, costruita di finzione e sovrapposizioni, stupore e ingenuità, nel suo essere valore di verità ed insieme di conoscenza profonda di noi stessi e della realtà che ci circonda e in cui affondiamo. È un mondo vivo e sempre in ebollizione, che riesce per questo ad intercettare fermenti e spaccati spesso dimenticati della nostra contemporaneità e su cui purtroppo sembra gravare, nel mondo teatrale italiano, una sorta di cono d’ombra alimentato da un establishment che per guardare lontano spesso non vede quello che gli cresce attorno.
Può sembrare a molti, proprio per quella sua freschezza e ingenuità, un teatro semplice. Al contrario, a conoscerlo, mostra non solo la sua profondità ma anche la complessità delle drammaturgie, delle loro articolazioni e scritture sceniche, delle elaborazioni registiche in cui anche l’abilità artigiana dei marionettisti trascende spesso in arte, un arte teatrale integrata da molti anche inattesi contributi. Di questo si è parlato e bisognerebbe continuare a farlo, non per recuperare una espressione artistica singolare e affascinante ma per darle il giusto merito.
Proprio perché di questo, io credo, si tratti, rimandando la stretta cronaca al programma delle tre giornate pubblicato in altra parte del nostro sito, comunque da leggere e approfondire per conoscere le presenze importanti che hanno contraddistinto l’evento, veniamo direttamente agli spettacoli visti, tra sabato 21 e domenica 22 marzo.
VERTIGINI CIRCENSI
Dimentichiamo spesso che burattini, marionette e pupi sono “teatro di figura” e che il circo ne è un’altra parte integrante, parte che ha già trovato in Francia un ampio riconoscimento tra le performances più spiccatamente teatrale ma che in Italia fatica di più. Cirko Vertigo, che è una di queste realtà italiane che cresce, ci ha donato un esempio, variegato, composto e colorato come un mosaico, di come il corpo sappia scrivere storie, talora andando oltre ai recinti significativi della parola, per esplorare ciò che il nostro ruolo nel mondo ci occulta, rendendocelo così intellegibile. Tra giocolieri, funamboli e acrobati, tutti giovanissimi e tutti bravi, i confini si fanno inevitabilmente più labili.
IL MELO GENTILE
Dino Arru e le marionette del Dottor Bostik, costruiscono una narrazione che intreccia con sapienza i ritmi della natura con quelli della vita e dell’uomo, in un gioco di sovrapposizioni e identificazioni commovente, cioè capace di smuovere sentimenti che raramente tocchiamo, così profondamente nascosti giacciono in noi. Un melo e un ragazzo, l’uno al servizio dell’altro, un mondo che si costruisce, fatto di partenze e ritorni, di vite nelle quali la morte è solo un momento per ricominciare.
LA GATTA CENERENTOLA
I torinesi di Oltreilponte Teatro propongono Cenerentola nella versione “primitiva” per così dire, quella di Giovanni Battista Basile, che è stata la scaturigine di ogni successiva versione. Anche qui pupari e pupi, che insieme in scena conducono la narrazione, appaiono in una interazione che ha dello stupefacente, una interazione però che ha proprio nella marionetta, non nell’uomo, il suo fulcro, il centro nel quale il significato si espone e si mostra paradossalmente senza copertura e infingimenti. Maschera e pupo hanno e richiamano una sincerità che difficilmente si realizza altrove o in altro modo. Forse per questo è una spettacolo “anche” per bambini. Progetto Fiaba Popolare Italiana in collaborazione con Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare. Drammaturgia Valentina Diana e Beppe Rizzo, pupazzi Cristiana Daneo, con Beppe Rizzo e Fabiana Ricca. La storia narrata la conosciamo per cui va riportata solo la frase, icastica, di una bambina nel buio della sala a proposito dei burattini: “l’avevo detto io che erano vivi!”.
GIANDUJA E L’ACQUA MIRACOLOSA
Antichi burattinai ed emozioni moderne. Artigiani-artisti alle prese con burattini che non si fanno mai addomesticare fino in fondo e spesso li trascinano oltre le drammaturgie che provano, capaci di intercettare sensi e significati da un altrove inaspettato, spesso quello del pubblico. Significati che da oltre cent’anni si rinnovano senza perdere freschezza. Favola del Gran Teatro dei Burattini del Fratelli Niemen di Vercelli con Bruno Eliseo Niemen. Una famiglia di burattinai da cent’anni e più, che non smette di rinnovarsi e percorrere con sapienza il suo percorso nel teatro italiano, iniziato allora con altri compagni purtroppo perduti e continuato ora con nuovi interessanti protagonisti.
PICCOLA MARATONA NOTTURNA DI BURATTINI IN FARSA E NARRAZIONI
Ha chiuso la serata, ma nessuno sembrava volersene andare. Un caleidoscopio di abilità, costruttive, sceniche, recitative e di regia in grado di costruire una relazione con uno sguardo ed un mondo con un fazzoletto. Burattinai e marionettisti, cantastorie e pupari si sono alternati l’uno all’altro, ciascuno insegnando ma anche ciascuno imparando, con la curiosità che sembra animare la loro vita. Ha cominciato Carolina Khoury con il suo Dott. O. Froidoni che ha preso vita direttamente dalla sua straordinaria capacità di trasformare la voce, quasi fosse un soffio per un’altra vita. E poi il bravo Agostino Cacciabue, l’artista del fazzoletto ed il suo mondo di straordinarie trasformazioni, di scope-cani e di affascinanti spogliarelliste di legno dalle movenze morbide come di ballerina. Oppure Enrico Spinelli e i suoi “pupi di stacca” capace di ricreare il varietà alla maniera dello zio Paolo Poli, con l’eleganza che ribalta in poesia anche il turpiloquio. Con Fioravante Rea, capace di farci vedere gli eventi anche senza cartellone, ha fatto il suo ingresso il mondo dei cantastorie e la miracolosa penna dell’uccello Tifone, storia di invidie, dissidi e uccisioni per conquistare un regno. Per finire poi Aldo De Martino e Violetta Ercolano con i pupi napoletani della Compagnia degli Sbuffi, particolari nella loro tecnologia costruttiva ma molto carnali pur essendo di legno.
JUDITH E BARBABLU
Un’altra narrazione eterna e universale che il Teatro Laboratorio Mangiafuoco di Milano sviluppa, tra due attrici e molti e molto belli burattini, ispirandosi alla interpretazione della psicanalista statunitense Clarissa Pinkola Estés che molto ne attenua le iniziali oscillazioni misogine. Viaggio nella oscurità delle menti vissuto come l’esplorazione di un bosco stregato e di un castello solitario, tra pericoli incombenti, alcuni esterni ma i più celati dentro di noi, fino al finale di salvezza che, come nelle storie vere, è fatto di vittime e abbandoni. Era una prima ed è sembrato un lavoro bello e profondo, in cui la narrazione può essere capace di enfatizzare le straordinarie capacità mimetiche di quei piccoli pezzi di stoffa, legno e cartapesta. Di Alessandro Ferrara, con Silvia Torri e Laura Valli, burattini di Paola Bassani, scenografia di Salvatore Cuschera, luci di Francesco Piccolo regia di Alessandro Ferrara.
Un evento molto interessante e seguito oltre le aspettative, che ha mostrato come le marionette fanno parte essenziale e ineludibile del teatro italiano ed europeo, alle radici stesse delle compagnie di scarozzanti che attraversando il nostro continente ci hanno ridonato la gioia ed anche il senso del teatro. Tra l’altro una parte, quella del teatro di figura, con una libertà espressiva e comunicativa straordinaria che il cosiddetto teatro colto qualche volta ha tentato di recuperare. Ricordiamo solo gli ormai dimenticati “Marionette che passione”, anche se Rosso di San Secondo ne esaltava l’etero-direzione, ma soprattutto “Siepe a Nord Ovest” di Massimo Bontempelli che proprio la capacità di essere sonda della realtà aveva ben capito delle marionette. Un ambiente ancora vivace, un po’ oscurato dall’animazione cinematografica, ma che, in più di quella, ha la capacità di rappresentare direttamente, qui e ora, la vita, come ha ben capito la bambina in sala.