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Nello Spazio Teatro NO’HMA, Teresa Pomodoro, continua il viaggio intorno al mondo con compagnie internazionali che si succedono per 12 mesi in occasione dell’anno di Expo. Grande attenzione è dedicata al continente africano: dopo Opera Lamb e Calafrica, si torna a parlare di questa terra meravigliosa e spietata con Antigone - una storia africana - del Teatro Metastasio di Prato.
Antigone, il mito. E qui potremmo fermarci e non andare oltre perché qualsiasi cosa si dica su questo personaggio rischia di diventare banale. Non lo è stato Massimo Luconi, regista di spessore europeo, che sceglie di rappresentare la storia dell’opera di Anouilh nella piazza di un villaggio africano, dove la popolazione si raccoglie ad ascoltare il griot, il cantastorie (cantore della tradizione orale degli antenati), dove chi assiste agli eventi commenta, esprime il proprio parere, partecipa come se tutto fosse avvenuto nel qui ora del momento teatrale. Dal mito all’Africa...

non a caso. In alcuni luoghi è ancora molto «forte e tormentata la dicotomia fra cultura tradizionale del villaggio e emarginazione delle immense bidonvilles, fra individuo e collettività, fra leggi dello stato, spesso dei regimi dittatoriali, e leggi non scritte della grande famiglia africana solidaristica e protettiva». La regia didascalica e asciutta mette in luce i rapporti di potere e la solitudine stessa del potere.  Regala emozioni teatrali che funzionano anche cognitivamente, contribuendo a fare dello spettacolo teatrale un’esperienza concettuale e nello stesso tempo alimentando una memoria collettiva. Recuperando un canone recitativo con modalità che risalgono al teatro della narrazione orale, lo spettacolo scorre come un fiume in piena fino al finale corale. I personaggi sono disegnati con grande spessore culturale, Creonte ha lo sguardo sempre altrove, lontano, è il più solo e anche il più disarmato di fronte alla forza della giovane donna, non è in grado di rispondere con un atto di coraggio. Nella penombra della scena gli attori si muovono come anime perse quasi non si toccano e se lo fanno si sfiorano appena o si abbracciano con una forza violenta improvvisa, inaspettata, che non aiuta ugualmente, sono tutti soli i personaggi di Massimo Luconi vi è una sorta di incomunicabilità contemporanea che si scioglie solo nel canto, i giovani attori della compagnia tutti di origine africana regalano una magia di voci, di sguardi scenici che va oltre la scena e ci lascia immaginare i mondi inascoltati degli immigrati di oggi:  Aminata Badji, Ibrahima Diouf, Papa Abdou Gueye, Gnagna Ndiyae, Mouhamed Sow, Galaye Thiam e Ndiawar Diagne, Marie Madeleine Mendy, Mamadou Seye, Jean Guillaume Tekagne, raccontano non solo Antigone ma esprimono una «pietas universale che si estende a tutti gli uomini sentiti come fratelli, superando ogni limite o divisione tribale e nazionalistica». «Il lavoro sul testo si è arricchito anche di alcune espressioni in wolof, la lingua parlata da tutti in Senegal, mischiando il francese colto alla comunicazione diretta e popolare, rispecchiando così quello che è uno degli aspetti più interessanti del Senegal di oggi, l’osmosi alchemica fra tradizione popolare e cultura europea».
La scorrevolezza e la bellezza del testo di Jean Anouilh (Bordeaux, 23 giugno 1910 – Losanna, 3 ottobre 1987, drammaturgo, regista teatrale e sceneggiatore francese) si sente nelle voci degli attori e si legge grazie ai sottotitoli in Italiano, un’esperienza molteplice che crea un ulteriore piacere della mente.

Milano 26 Marzo Spazio Teatro NO’HMA, Teresa Pomodoro

Foto Cristina Bartolozzi