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Il titolo di questo spettacolo svela una parte dei contenuti, o meglio, possiamo intuire subito di cosa si parlerà in scena. In realtà la spiegazione al titolo non è così banale, tanto che anche noi riportiamo delle “istruzioni per l’uso”, o meglio delle “chiavi di lettura” . Quale uso è plausibile nella descrizione e messinscena di una tragedia greca, ai nostri giorni? Partiamo dal presupposto che chi ha osservato attentamente e ripetutamente le tragedie greche in scena presso il Teatro Greco di Siracusa, e ne ha lette alcune direttamente in lingua originale e molte in traduzione, dovrebbe essere consapevole di essere in procinto di vedere qualcosa di diverso. Dell’assetto originario della tragedia greca qui non c’è quasi nulla, ma il testo  viene assolutamente smembrato per dar vita, in scena, ad un discorso complesso, inevitabilmente legato, certamente, al concetto della tragedia, quella euripidea, 

ma lontana dalla sua contestualizzazione originaria. Il pubblico che si accinge ad osservare questo spettacolo non vedrà l’intera tragedia, bensì assisterà ad una rielaborazione ed interpretazione del testo, attraverso  estrapolazioni, intersezioni, inserimenti e viaggi temporali. L’universalità del messaggio euripideo arriva all’analisi comportamentale,  approdando alle teorie di Henri Laborit e al suo laboratorio scientifico: quattro donne in prigionia, quattro immagini dell’umanità. Simbolo di grandiosità attoriale è di certo  la protagonista, Sara Bertelà, che abbiamo amato profondamente nella sua interpretazione de “Una specie di Alaska”, vista in anteprima nel 2014, ancora una volta sul palcoscenico di Galleria Toledo, a Napoli, presenti anche alla sua premiazione, da parte dell’ANCT, all’interno della Fortezza di  Volterra, a luglio 2014. E di nuovo a Napoli, e ancora a Galleria Toledo, dal 24 al 29 marzo, ritorna la Bertelà, con questo testo, TROIANE-ISTRUZIONI PER L’USO, firmato da Roberto Tarasco, che ne cura anche l’allestimento e la regia.  Lo smembramento del testo prevede un percorso di comprensione, tematico e visivo, che pone l’attrice in solitaria sul palco, davanti ad un leggio e ad un microfono, attorniata da aste su cui pugnali di ferro rivolgono le loro lame verso il punto focale: lei. Questa scenografia simbolicamente “ a raggiera”, focalizza lo sguardo del pubblico, rinchiude l’attrice in uno spazio delimitato, impone delle barriere, ricorda le guardie e la prigionia a cui erano sottoposte le Troiane. Nota a tutti la vicenda della guerra di Troia, distrutta dai Greci, descritta dalle bellissime parole nell’Iliade omerica, le cui vicende riprende, poi, Euripide, e per la prima volta porta in scena nel 415 a.C. Ecuba, regina di Troia, moglie di Priamo, madre di Ettore, Cassandra e della profonda e giovane Polissena, che ricordiamo in un’altra tragedia euripidea, intitolata appunto “Ecuba”, in cui ricompaiono le schiave troiane;  Andromaca, la moglie di Ettore, e quindi nuora di Ecuba; Elena, moglie di Menelao, a Sparta, viene costretta da Afrodite ad unirsi con Paride di Troia, scatenando la reazione del marito, di Agamennone e di tutta la Grecia. Le quattro donne, Ecuba, Andromaca, Cassandra ed Elena, vengono interpretate dalla stessa Sara Bertelà, attraverso momenti di intensa commozione, di interpretazione degna dell’importante scena del Teatro Greco, e soprattutto di profondità storica. Il tutto viene sostenuto da un’accurata scelta di musiche, in lingua greca o araba, e di sonorità, rumori e soprattutto di sospiri. Il sottofondo sonoro di gran parte dello spettacolo è arricchito da un sospiro doloroso che ognuna di queste donne rivivrà e ingloberà nel suo animo. “Ahimè!” pronuncerà ripetutamente Ecuba nel suo  intenso monologo di addio alla Patria, che tanto ricorda, seppur attraverso una forma solenne e regale, l’addio ai monti, più intimo e privato, della Lucia manzoniana.  La storia di una Patria distrutta dal nemico invasore, le donne, tra i civili  e i membri della famiglia reale, vengono violentate, gli uomini uccisi, i figli annientati. L’uccisione della prole, come nel caso del piccolo Astianatte, figlio di Andromaca ed Ettore, nipote dunque degli antichi regnanti di Troia, Ecuba e Priamo, che viene scaraventato giù dalla mura della città, è simbolo della “castrazione”, dell’infertilità indotta ad un’intera terra. Quale immagine più drammatica per descrivere l’evoluzione di una guerra? Prigionia, schiavitù, morte, smembramento, distruzione. Il panorama narrativo riportato dall’Iliade omerica, ma soprattutto dallo stesso Euripide, è di certo, storico-mitologico, ed inevitabilmente politico. All’interno di questo spettacolo il tema politico affiora velocemente solo in conclusione, e non inaspettatamente, quando il paragone con le schiave troiane si apre all’immagine contemporanea dei centri italiani  di identificazione ed espulsione coatta,  i cosiddetti CIE, fino ad arrivare al concetto di straniero da rispettare, alle guerre storiche o in corso, argomenti, in verità, non del tutto nuovi sulla scena teatrale.  Il collegamento con la tragedia apre le porte ad innumerevoli riferimenti, attraverso cui l’attrice percorre un viaggio nella storia della cultura italiana, da un accenno alla filologia, alla storia della letteratura, fino al “Va’ pensiero” del Nabucco  di Verdi, riportando, però, argomentazioni a dire il vero “elementari”, e fermandosi al Medioevo letterario. Se l’obiettivo è la fruizione da parte di un pubblico medio-colto, citando l’esistenza delle traduzioni dei poemi omerici, che naturalmente non conosceremo mai nella versione originale, le trascrizioni degli amanuensi, fino ai riferimenti alla Divina Commedia, il tutto circondato da aneddoti e datazioni, le istruzioni per l’uso sono così servite. Se l’intento è quello di fornire al pubblico un’immagine di una perduta consapevolezza di identità culturale, allora i riferimenti, pur nella loro semplicità, sarebbero stati consoni.  Ma il discorso cambia orientamento quando le quattro donne euripidee, nella loro grandiosità atemporale, vengono identificate con i quattro modelli proposti, nel 1970, da Laborit nel 1970: l’accettazione in Ecuba,  la lotta in Cassandra,  l’inibizione in Andromaca, la fuga in Elena. Quattro modelli comportamentali, a cui si ispira l’attrice per interpretare le quattro protagoniste, immagini che non rispecchiano unicamente la donna, ma l’umanità intera. Due percorsi, dunque, paralleli, quello nazionalista e culturale, da un lato,  quello legato agli studi sociali, dall’altro, partendo da un unico nucleo, cioè il testo euripideo che, quindi, si ramifica. Viene riportato l’agone tra Ecuba ed Elena, così come previsto nel testo originale, per definire il motivo reale dello scoppio della guerra di Troia;  naturalmente affidato ad un capro espiatorio mitologico, cioè la bellezza di Elena – in questo spettacolo rappresentata ironicamente nelle vesti di una svampita civetta, secondo un popolare luogo comune che Laborit identifica invece nella “fuga” -  il motivo dello scatenarsi della guerra diventa stimolo già nella scrittura omerica, che doveva necessariamente far emergere un vincitore conosciuto a posteriori da tutti. Sarà Bertelà, nei panni delle quattro donne, alterna i personaggi indossando un mantello, una fascia per capelli, una sciarpa, facendo sgorgare  lacrime vere, con la consueta naturalezza commovente che dimostra ripetutamente in scena, pompando cuore, muscoli e vene, irrigidendo le membra, portando a limiti estremi la voce. La bellezza e la bravura di quest’attrice sarebbero bastate ad avvicinare il discorso classico, inteso come euripideo e politico, a quello contemporaneo di Laborit, senza disperdere, come è giusto che sia, il discorso sulla Patria e sull’ identità culturale. Non comprendiamo, però, il perché delle spiegazioni didascaliche rivolte ad un pubblico, invece, costantemente stimolato, negli ultimi anni, al paragone tra testi e personaggi dell’antichità e ricorsi storici contemporanei. Le istruzioni per l’uso, indicate dal titolo, ribaltano, infatti, il procedimento di osservazione e di comprensione: portano, cioè, in scena la spiegazione e la descrizione verbale di un studio contemporaneo che utilizza, come punto di partenza, questa tragedia classica. Forse l’insegnamento scenico rivolto al pubblico non dovrebbe renderlo mero osservatore, bensì lo spettatore dovrebbe essere invogliato, condotto, stimolato, attraverso le allegorie della scena, verso una profonda riflessione personale sul confronto e sul rapporto tra antico e contemporaneo. Stonano, quindi, gli approfondimenti nozionistici sulla tragedia, classica e contemporanea, e soprattutto  sulla cultura italiana, poiché sembrano seguire un percorso che poi rimane  in sospeso, così come quello dei quattro modelli comportamentali di Laborit, per ritornare, poi, sulla tematica della schiavitù e dello sradicamento dalla Patria.

TROIANE- ISTRUZIONI PER L’USO
Galleria Toledo Napoli
24-29 marzo 2015
Nidodiragno
Troiane
istruzioni per l'uso
dalla tragedia di Euripide al laboratorio di Henri Laborit
con Sara Bertelà
testo regia e allestimento Roberto Tarasco