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Torna a Genova, nella terza intensissima e felice giornata del Festival Akropolis, l’Open Program del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards con questo nuovo lavoro di Marco Biagini che, in una sorta di ritorno al “verbo”, ripropone il teatro nella sua essenziale natura, etimologicamente pura, di “evento”.
Evento è infatti una cosa che accade e il teatro del Workcenter ancora una volta, e appunto, accade, all’interno del rito che è suo strumento sintattico, ma direi oltre, anzi prima del rito, che comunque è strutturato ad uno scopo predeterminato, come pura “espressione”.
E così ci ricorda che siamo prigionieri in una nostra logica razionalistica, impastata di continui sillogismi, che più che cercare senso all’esistere lo costruisce e ricostruisce in continuazione, cercando di imporlo al mondo e così creando squilibri e diseguaglianze che trionfano nel mito, questo sì in fondo irreale, del possesso

e della “proprietà”, esteriore ma soprattutto purtroppo interiore, che informa la nostra contemporaneità nella sua indiscussa egolatria.
E ci ricorda dunque che le emozioni non sono una “proprietà”, nel suo doppio senso di qualità e possesso, dell’esistere soggettivo dell’umanità ma sono articolazioni dell’essere, sono fratture della sua superficie da cui in continuazione eruttano come geyser.
Paradossalmente la vera autenticità e sincerità dell’espressione e dell’esistere, anche soggettivo e singolare, dell’uomo non è nell’imporre ciò che ritiene suo, ma appunto sta nell’intercettare, quasi posizionandovisi sopra, quel continuo flusso di emozioni e sentimenti che eruttano da ciò che è, nel profondo, da tutti condiviso.
Quando l’attore, secondo il più intimo insegnamento di Grotowsky, se ne fa veicolo allora ce ne fa partecipi, non ci indica, insegna o impone una strada, ma ci apre una porta.
Questo spettacolo in effetti, per le modalità profonde di quell’insegnamento continuamente rinnovato e rivitalizzato dai suoi allievi prosecutori, è insieme motore e portato dei laboratori teatrali condotti negli Stati Uniti da Marco Biagini, della durata di una settimana e aperti anche ai non attori, laboratori che si vogliono chiudere con il coinvolgimento dei partecipanti cioè, come dicevo, aprendo appunto quella porta.
Se ne è avuto un esempio ed una anticipazione alla fine dell’evento anche a Genova, un esempio che ha mostrato come la capacità di attrazione centripeta delle emozioni che scaturiscono dai canti, dai movimenti, fisicamente centrati in una carnalità paradossalmente purificata nel candore accecante dei costumi, e dalle parole dei protagonisti possa alfine superare le rigidità e le disabitudini quotidiane.
Le parole nascoste è uno spettacolo in senso molto lato religioso, incentrato sulla “esplorazione creativa”, così la definisce il gruppo, dell’interazione tra i canti degli schiavi del sud degli Stati Uniti e i testi della prima cristianità, generati in quelle terre che della cristianità furono la prima culla.
Una tale interazione va alla scoperta e dunque, nella ricerca di una immanenza del divino che integra l’umanità e la sua affettività in una sorta di rinnovata via crucis, ripropone il tema del sacrificio e quindi del capro espiatorio, ma sembra farlo non in una dimensione “espulsiva”, tipica di certa antropologia o sociologia come in René Girard, bensì in una dimensione “inclusiva” in cui, attraverso l’espressione in scena, possiamo diventare partecipi di un riscatto non a “scapito di”, ma “insieme a”, insieme condiviso.
“Azione, contatto, parola, canto, danza” rimangono così gli elementi di una ricerca che prosegue e si rinnova di continuo grazie a Thomas Richards e a Marco Biagini, mantenendo però una coerenza immanente, sempre riconoscibile al di là di ogni circostanza e occasionalità.
Quella di giovedì 2 aprile a Villa Durazzo Bombrini di Genova Cornigliano è stata l’unica tappa italiana, escluse le esibizione nella sede di Pontedera, di questo spettacolo che ha richiamato come sempre un grande interesse, interesse sempre molto superiore ai limiti inevitabili dell’accoglienza.
Con la regia di Marco Biagini, hanno agito, danzato, cantato e parlato lo stesso Marco Biagini, Robin Gentien, Tabby Johnson, Agnieszka Kazimierska, Felicita Marcelli, Ophelie Maxo, Alejandro Tomas Rodigruez, Graziele Sena Da Silva.
Tanto forte è stata la capacità attrattiva dello spettacolo, il suo potere di entrare e stare in contatto, ciascuno con sé stesso e poi ciascuno con ogni altro, così efficace il suo indurre una sorta di trance che il pubblico, alla fine, non si peritava di alzarsi e continuava ad applaudire. Siamo stati tutti infine praticamente “spinti” ad uscire per tornare, forse un po’ cambiati, all’abituale.