Quando Maria Dolores Pesce mi ha chiesto un autoritratto per la rubrica "drammaturghi", mi è venuta in mente una poesia che ho scritto tempo fa, TRAMBUSTO, e che mi è sembrata appropriata come autoritratto. Dolores mi ha chiesto di aggiungervi solo una breve introduzione che spiegasse e contestualizzasse il sottoscritto a chi non lo conosce. E' giusto. Eccola qui allora, la breve intro in sette punti.

1. L'arte del racconto l'ho appresa da mio padre. Al mattino si sedeva sul mio letto e cominciava a raccontare: la sua voce sottile e amorevole mi svegliava lentamente,  preparandomi ad affrontare la scuola, mi immergeva in un universo di storie: o erano apologhi dell'Antica Roma, o battute di Totò, o indimenticabili favole di Fedro (Lupus et agnus).

2. A vent'anni mi sono innamorato della donna della mia giovinezza, Ermanna Montanari: siamo scappati di casa, i nostri genitori ci sono corsi dietro ma non sono riusciti a prenderci.

3. Abbiamo fondato da subito una compagnia e cominciato a fare teatro: asini autodidatti. Capivamo facendo. Sbagliando. Erravamo.

4. Da subito ho cominciato facendo l'attore, il regista e il drammaturgo. Per dieci anni ho calcato le scene, quando ho capito che non era lì la mia gioia, ho smesso, c'era già Ermanna a fare luce sul palco, io mi sentivo battere il cuore e pulsare l'intelligenza osservando e orchestrando i miei compagni. Qualche anno dopo ho assunto anche la direzione di un teatro, perché nell'epoca frammentaria in cui viviamo, quella dei non-luoghi, bisogna avere coraggio e assumersi la responsabilità di "farsi luogo".

5. Ho scritto testi miei fino a quarant'anni, poi ho pensato che dovevo tornare a scuola dagli antichi: non che non l'avessi fatto fino a quel momento, ma occorreva un  approccio più deciso: mi sono preso un decennio sabbatico e ho cominciato a tradurre e riscrivere gli antichi, fino a Molière e Shakespeare: questa pratica della riscrittura ha coinciso con l'invenzione della non-scuola e del lavoro scenico con gli adolescenti. Il commercio alchemico con i morti e con i piccoli turbolenti ha preso la forma della "messa in vita".

6. Dal 2010, scrivendo RUMORE DI ACQUE, ho ritrovato il piacere, la sofferenza, il rischio di inventarmi nuove storie, maschere, affondi nella cronaca, nei pantani della nostra Italia e del mondo, e in ciò che hanno di mitico, di tragico, di fiabesco a volte.

7. Avrei voluto vivere in due momenti storici ben precisi: essere un adolescente nell' Atene del V secolo, partecipando ai cori dionisiaci e tifando per Aristofane, l'antenato totem della mia famiglia di drammaturghi, colui che sapeva come nessuno "mescolare cose serie e cose buffe": essere un giovane uomo nella Gerusalemme del tempo di
Tiberio imperatore, e guardare il figlio del falegname negli occhi, e ascoltarlo dire quelle parole inaudite. Che liberano dalla paura.

Trambusto

Tu dici: non ho tempo!
Non ce l’ho il tempo
e la giusta quiete, quella che serve
per scrivere tutto quello che ho in cuore.

Tu dici: non ho tempo!
E ti lamenti, e frigni
e guardi il calendario
come un campo minato
devo andare di qua e di là
mi aspettano a Mons e a Milano e a Brema
tournèe spettacoli convegni
alberghi e alberghetti
non-scuole a rotta di collo
di corsa
correndo nelle periferie del Mondo
Scampia, Lamezia Terme e Diol Kadd
giacimenti minerari di vulcanica umanità
e poi riunioni su riunioni
il teatro è un mestiere di riunioni
il teatro è un infinito riunirsi
un ininterrotto dialogo
dialogare con questo e con quello
convincere i direttori dei teatri
convincerti tu per convincere loro
litigare con gli abbonati
prenderli sul serio gli abbonati
pazientare con Tizio e sussurrare a Caio
e vedere gli spettacoli dei colleghi
che se no se la prendono se non ci vai
soprattutto i più giovani
ma sono centinaia, migliaia
non capiscono
se tu il tempo non ce l’hai
s'infuriano
ti minacciano
e poi perdi tempo con l’Inter
confessa
e poi
e poi mi raccomando
non perdere di vista
la nipotina Viktoria, anni tredici
adottata che ne aveva nove
da un orfanatrofio di Odessa
dove i suoi compagni
avevano segni sulle braccia e sulla schiena
bruciature di sigarette
mangiavano poco e niente
Viktoria che il sangue le ribolle
occhi di brace e allungati
furia antica
che scende dagli altopiani d’Oriente.

Dove lo trovo il tempo
in tutto questo trambusto?
Dove lo trovo il tempo
per scrivere tutto quello che ho in cuore?

Ma se non ci fosse trambusto
di che cosa scriveresti?

Marco Martinelli, 1956, Reggio Emilia, è uno dei drammaturghi più interessanti e noti della sua generazione. Giovanissimo incontra Ermanna Montanari, la compagna della vita, che sposa nel 1977 e giovanissimo fa con lei esperienza di teatro, è da subito dentro il teatro. Con Ermanna, Luigi Dadina e Marcella Nonni fonda nel 1983 a Ravenna il “Teatro delle Albe” all’interno del quale sviluppa il suo originale e anche molto singolare percorso di drammaturgo e regista. Tra i suoi primi lavori “Siamo asini o pedanti” che diventerà con il tempo una sorta di emblema significativo di questo variegato organismo teatrale, capace di continue mutazioni e sempre coerente con sé stesso. Dal 1991 è direttore artistico di Ravenna Teatro, “Teatro Stabile di Innovazione”. Numerosissime le sue drammaturgie che, da allora, hanno calcato il palcoscenico del Teatro Rasi e dei teatri di mezzo mondo, numerosissimi anche i premi meritati, tanto numerosi, gli uni e gli altri, da risultare impossibile, se non superfluo, ricordarli tutti, comprese le occasionali incursioni nella regia lirica. Da “L’isola di Alcina” a “I Polacchi”, da “Salmagundi” a “La Mano De Profundis Rock”, basterà citare gli ultimi intensi lavori firmati da Martinelli. A partire da “Rosvita” e “Rumore di Acque”, e poi “L’avaro” da Molière, “Pantani” e, l’ultimo, “Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi”. Svariate le sue pubblicazioni, sia di drammaturgia che di saggistica, e molte le pubblicazioni che lo hanno riguardato e lo riguardano. Infine Marco Martinelli è stato promotore, con Maurizio Lupinelli, di quella eterodossa esperienza chiamata “Non-scuola” che ha dissodato molti interessanti campi del teatro, promuovendo compagnie e vocazioni.