I sei della Compagnia dell’Aquila si misero d’accordo decidendo che, quanto capitato a loro in autunno, non lo avrebbero raccontato a nessuno, per non essere presi per matti, o per degli ingenui raccontatori di frottole                .
L’unico a cui è stato raccontato quanto accaduto è chi scrive, essendo amico molto stretto del regista, Gianni: costui, una sera fredda piovosa e noiosa, alzato un poco il gomito con un ottimo Rosso di Montefalco, decise appunto di riferirgli degli strani fenomeni accaduti alla sua compagnia. Questa era entrata nel circuito delle Marche con un allestimento assai gradevole e divertente, di una commedia di Achille Campanile, L’inventore del cavallo. Alla fine di novembre dell’anno appena passato portarono lo  spettacolo in una delle più piccole e storiche sale teatrali della Regione, il Teatro della Rosa: un vero gioiellino, che contiene non più di duecento spettatori, costruito con la pianta all’italiana, e perfettamente uguale ai più grandi teatri di tradizione, e addirittura con l’acustica adatta a spettacoli di lirica!
Nella sala, dice Gianni, si possono notare accuratissime rifiniture che incorniciano i minuscoli ma deliziosi palchetti degli spettatori. Lungo i quattrocento anni trascorsi,  la fortuna, o la musa Talia,  vollero evitare quegli incendi che tanti teatri antichi hanno dovuto subire: come, infatti, dimostra un piccolo prezioso archivio contenente la documentazione che attesta lungo il tempo l’attività svolta nella ormai storica sala teatrale, dagli artisti che l’hanno frequentata, con le loro dediche apposte su un registro ormai quasi ingiallito, agli interventi strutturali e di conservazione, ai contratti, e così via.
Appena arrivati, racconta Gianni, nella compagnia, formata da lui,  da Giulia, Romeo, Leone, Eleonora, attori, e dal tecnico delle luci  e della fonica, Dante, e dallo scenotecnico Ersilio, si diffuse un palpabile senso di euforia a stento trattenuta, che fu interpretata come effetto di un luogo commovente per la sua storicità, per i tanti artisti passati di lì, e per l’elegante e fine bellezza degli interni, a partire dai camerini. E fu proprio nei camerini, racconta Gianni, che avvenne un primo strano “incidente”.
Infatti Eleonora, arcisicura di aver portato il suo beauty-case del trucco in camerino, si accorse che non c’era più! Lo cercò dappertutto, a partire dalle auto posteggiate vicinissimo al teatro; chiese a Giulia, a Dante, ad Ersilio, ma nessuno aveva visto il suo portatrucchi. Per non scocciare i colleghi decise di andare al centro della cittadina marchigiana, famosa per i suoi portici, e per la piazza del Mercato, a comprarsi un po’ di materiale, dagli ombretti al fondo tinta, a un tubetto di biacca che sorprendentemente aveva trovato. Tornò al teatro entrando per una porticina direttamente collegata coi camerini, e appena dentro, accendendo le luci dello specchio del trucco, si accorse di una elegante e colorata busta databile a inizio Novecento contenente tutto il materiale utile per il trucco, e perfino delle sopracciglie e ciglie finte ma assolutamente credibili. Andò dai colleghi a ringraziarli e a chiedere loro dove l’avessero trovata, quella busta! Ma sia Giulia, sia lo stesso Gianni, sia gli altri, le chiesero se avesse bevuto!? Assicurandola che non ne sapevano assolutamente nulla! Eleonora alla fine si arrese dicendosi sicura che al ritorno sarebbe venuta fuori la verità!
Altro breve episodio raccontò Gianni, capitato proprio a lui: durante l’unica prova che era possibile svolgere prima del debutto serale, nel momento più esilarante della commedia di Campanile, era del tutto certo di sentire non poche battute completamente diverse dal testo, ma assolutamente funzionali alla comicità della scena. All’intervallo chiese agli attori quando avevano provato le nuove battute, ma ebbe in risposta un “ma sei matto? Che dici?”. Gianni, nonostante fosse piuttosto sconcertato, lasciò perdere la cosa, ma restò un  filo turbato fino al momento dello spettacolo, durante il quale, stando lui in quinta, sentì recitate quelle stesse battute del pomeriggio, secondo lui cambiate! Ma sia la risposta divertitissima degli spettatori, sia il suo stato psicofisico del momento, lo fecero sentire come non mai felice di essere lì, in quel meraviglioso piccolo antico teatro! Dimenticò quasi quell’inquietante fenomeno.
E ancora, racconta Gianni, altro piccolo evento, assai particolare, avvenne alla fine della rappresentazione: appena cessato il primo straripante applauso, e chiuso l’elegante vellutato antico sipario, i quattro attori si ridisposero  verso il proscenio per ricevere ancora altri applausi: Dante riaprì il sipario, e, con lo sbalordimento di tutti, in sala, nei loggioni, in platea non c’era più nessuno! Non ebbero il coraggio di chiamare il custode tuttofare del teatro, certo signor Otello, per chiedere cosa fosse accaduto, e se ne ritornarono alquanto basiti ai camerini, pensando che sicuramente il freddo piuttosto intenso di quella sera, e un‘incipiente pioggerellina, avevano spinto il pubblico a guadagnare velocissimamente l’uscita: sorpresa finale,  ciascuno di loro trovò una rosa rossa posata davanti lo specchio del trucco!
Finita la serata, non restava, racconta Gianni, che caricare le poche scene sul furgoncino noleggiato all’uopo, mangiare un  boccone in una piccola graziosa trattoria vicina al teatro,  rimasta aperta appositamente per la compagnia,  e ripartire per arrivare verso le 2, massimo le 3, di notte a casa. Ma il furgoncino non arrivò a causa di un improvviso guasto, altro piccolo contrattempo  inaspettato e fastidioso, per cui decisero che Dante avrebbe riportato con la sua macchina privata tutti a casa; Gianni ed Ersilio sarebbero rimasti in teatro a sorvegliare scene e desk e computer portatile, fino all’indomani, cercando di dormicchiare in qualche modo sul palcoscenico, data anche l’ormai inevitabile forte stanchezza e l’incipiente sonno.
Ersilio s’addormentò come un bimbo in grembo alla sua mamma, mentre Gianni faticò non poco ad addormentarsi, svegliandosi appena a una certa indefinita ora, per l’apparente cigolìo della porticina di un palchetto: lui aprì un occhio e vide la porticina rinchiudersi da sola senza che un’ombra d’essere vivente apparisse con un movimento di uscita! Ma la cosa non lo turbò più di tanto, stava dormendo davvero bene e con un sonno rasserenante, felice. Si svegliò alle prime luci dell’alba, mentre Ersilio ancora russava come il proverbiale ghiro. Si mise seduto accorgendosi che al centro sul bordo del palcoscenico  verso il proscenio era posato un grosso registro aperto. Lo prese e vide nell’intestazione la scritta “Registro delle dediche degli artisti”; aprì per caso alla pagina in cui campeggiava la firma di Carmelo Bene, e all’improvviso, come provenisse dal fondo del palcoscenico, udì bisbigliare una voce: gli s’imperlò la fronte di sudore ghiacciato: gli pareva proprio la voce di Carmelo, che recitava un passaggio da Hamlet suite:
“Kate, aspettami qui un momento… il tempo di cogliere un fiore… chissà… servirà da segnalibro quando rileggeremo il mio dramma e saremo costretti a interromperlo per baciarci”.
Inopinatamente Gianni non provò né ansia né angoscia, tutt’altro, scrutava il telone  che faceva da ultimo fondale, quasi speranzoso di vedere apparire la sagoma del grande Carmelo!
Sfogliò ancora il registro trovando la dedica di un altro grande, non più vivente, Leo De Berardinis, e mentre leggeva e rileggeva le parole della dedica, sentì bisbigliare Leo dal fondo del palcoscenico, proferendo alcune battute di Sudd.
Gianni iniziò a pensare che stesse ancora dormendo e contemporaneamente sognasse di essere nella veglia, con estremo realismo; ma ciò che lo affatturò erano quelle incredibili, straordinarie “presenze”.
Sfogliò ancora il registro incontrando la dedica di Rossella Falk, su cui si soffermò qualche secondo, tendendo l’orecchio verso il fondale: ed ecco Rossella, nella ineguagliata interpretazione della Figliastra pirandelliana:
“Povero amorino mio, tu guardi smarrita, con codesti occhioni belli: chi sa dove ti par d’essere! Siamo su un palcoscenico, cara! Che cos’è un palcoscenico? Mah, vedi? Un luogo dove si giuoca a far sul serio. Ci si fa la commedia. E noi faremo ora la commedia. Sul serio, sai! Anche tu…”.
Gianni, son davvero parole sue, sentì il proprio volto rigarsi di tiepide lacrime, mentre Ersilio, appena svegliatosi, lo scosse prendendolo per un braccio:
“Su. dai, svegliati bene, dormiglione, sta per arrivare il furgone, e dobbiamo smontare gli ultimi componenti della scena! Hai ancora talmente sonno che gli sbadigli ti fanno addirittura piangere!”